Il paradosso della maschera

Alice Ordanini

Per far sì che non sia la maschera il centro dell'attenzione deve essere l'attore a caratterizzarla dandole forma, espressione e sostanza.

La maschera -sappiamo- non è solo un trucco teatrale riservato a degli attori che recitano su un palco, ma è il trucco usato da tutti noi in ogni momento della giornata nel relazionarci agli altri. Indossiamo la maschera di studente, figlio, madre, insegnante, sportivo, trasgressivo, amante, amico, detenuto, artista, tiranno. Ciò non significa affatto essere falsi o vivere solo di riflesso, significa solo che, fin dal momento in cui nasciamo, abbiamo di ruoli, alcuni scelti da noi altri no. Mi alzo la mattina, vado all'università e sono una studentessa, il pomeriggio vado a lavorare in agenzia ippica e sono una sportellista, la sera esco e sono l'amica o la fidanzata. Ciò non significa che la personalità non esiste. Né, tanto meno, che si finga per apparire perché non si ha il coraggio di essere.

Nella mia piccolissima esperienza teatrale ho avuto modo di recitare indossando una maschera. Quando si sono accese le luci sul palco mi sono sentita protetta, sicura grazie alla maschera che portavo. Non ero completamente esposta al pubblico. C'era una maschera sul mio volto che mediava tra me e gli spettatori, un mediatore del messaggio che io volevo lanciare loro; non ero esposta completamente al loro giudizio, c'era una maschera che interagiva per me. Un fragile oggetto di cartapesta, colorato d'oro con delle piume rosse al centro della fronte che scendevano come una fontana, mi faceva stare bene.

Mi sono resa subito conto però che era solo una presentazione della mia persona, non dovevo permettere che il pubblico notasse e si ricordasse solo di quella maschera, doveva accorgersi di me, di Alice.

Per far sì che non sia la maschera il centro dell'attenzione deve essere l'attore a caratterizzarla dandole forma, espressione e sostanza. La maschera che sembrava proteggermi e darmi sicurezza, in realtà, mi ha costretto ad espormi di più!....paradossale!

Così nella vita di ogni giorno mi maschero per presentarmi agli altri; ma per non rimanere solo una maschera, solo un'etichetta, devo saper dare spessore a ogni mio comportamento, alla mia voce, alle mie parole, ai miei gesti, ai miei pensieri.

La maschera è uno strumento di cui siamo in possesso e, come tutti gli strumenti, è un'arma a doppio taglio... come il muro. E' comodo vivere protetti dalla bambagia dietro a delle solide mura o con indosso una maschera che filtra il contatto col mondo. Questo diventa molto rischioso però nel momento in cui mi faccio sopraffare dal ruolo che mi viene assegnato (dalla vita o dalle persone che mi circondano): bisogna avere il coraggio di lanciarsi "oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dell'infinito" (1) e non essere solo ciò che gli altri vogliono che noi siamo. Bisogna osare, per non rimanere vittime delle proprie maschere.

E' nella personalità di ciascuno che la maschera acquista spessore e potere; sono io che permetto agli altri di vedere in me solo una delle mie maschere o di vedermi come una persona. Posso decidere (per quanto uno possa decidere!) se soccombere rifugiandomi dietro a una maschera cui lascio la possibilità di dirigermi o se giovarmene come una mediazione che faciliti le mie relazioni, che offra una prima presentazione di chi sento di essere!

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1. Fabrizio De André, Cantico dei drogati.