Freud tra letteratura e creatività


Giovanna Mulas


Ogni uomo in fondo è un poeta e si sa che l’ultimo poeta morirà solo con l’ultimo uomo. Allora non si dovrebbe forse cercare già nell’infanzia le prime tracce della fantasia poetica? Il gioco è l’occupazione più intensa e prediletta dal bambino che, giocando, si comporta come un poeta nel momento stesso in cui crea un mondo proprio o mentre riordina in modo tutto personale le cose del suo mondo. Egli, è chiaro, prende sul serio il gioco prodigandovi una vasta quantità di emozioni.

L’opposto del gioco non è ciò che è serio ma ciò che è reale; nonostante le emozioni riversate sul mondo dei suoi giochi, il bambino lo distingue benissimo dalla realtà, ama legare gli oggetti e le situazioni immaginate alle cose tangibili e visibili del mondo reale. È questo collegamento che differenzia il gioco del bambino dal fantasticare.

Un po’ come lo scrittore ed il poeta dunque, che si comportano come il bambino che gioca; creano un mondo di fantasie investendovi una grande carica emotiva e lo separano nettamente dalla realtà. Secondo Freud (Il poeta e la fantasia, 1908) la lingua stessa ha sublimato il rapporto tra il gioco del bambino e la creazione poetica definendo col termine Spiel (gioco) quelle forme di composizione poetica che devono essere collegate ad oggetti tangibili e che sono destinate alla rappresentazione; troviamo così indicati con Lustspiel (recita) la commedia, con Trauerspiel (gioco luttuoso) la tragedia e con Schauspieler (“chi dà spettacolo” o “giocatore”) coloro che eseguono la rappresentazione.

L’irrealtà del mondo fantasioso dello scrittore dà luogo a conseguenze molto importanti per la tecnica artistica giacché molte cose, viste nella loro realtà non potrebbero regalare godimento alcuno ma possono invece darlo nel gioco della fantasia, crescendo gli uomini smettono di giocare e pare che rinuncino al piacere del gioco ma in verità non è nell’umana natura rinunciare ad un piacere; semplicemente lo si sostituisce con un altro.

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