Angelo Aparo | 18-01-2009 |
Oggi mi sono svegliato subito dopo un sogno nel quale chiedevo a una persona se era mai stata a Genisi, un paese dove ho trascorso un anno da piccolo. Mi sono svegliato con una musica in mente che sembrava una canzone.
Andavo alle elementari e in classe eravamo in 5 studenti, 4° e 5° insieme. Io ero in 4° e il maestro insegnava a tutti le stesse cose e ognuno poteva scegliere quelle che gli piacevano di più.
Una volta abbiamo piantato delle fave; abbiamo atteso forse un mese che tirassero fuori la testa; a poco a poco sono cresciute e noi le guardavamo venire su.
Ogni tanto ci torno in bicicletta, vado ad accarezzare e bacio la scorza dell’albero sul quale mi arrampicavo. Raccoglievo i fichi e da sopra i rami li lanciavo verso il grembiule di mia madre che lei apriva perché io potessi fare centro. Ogni tanto facevo lo stesso col grembiule della signora marchigiana che abitava nella stessa casa. Era la moglie del capo della squadra di cantonieri fra cui c’era mio padre e cucinava la polenta col sugo. Loro "erano del Nord", di Porto Sant'Elpidio.
Vicino la piccola stazione di Genisi ci sono una pompa dell’acqua con la quale mi sono rotto un dente, i binari sui quali cercavo di camminare in equilibrio, il cancello al quale davo una spinta per poi lasciarmi portare. La notte passavano i treni a meno di 20 metri dal mio letto. Quando li sentivo, mi piaceva, tutto sembrava funzionare.
Una mattina, su un albero c’era una civetta con gli occhi grandi, una bambina che era in 4° con me credeva che fosse una scimmia. Una volta insieme con la figlia dei signori marchigiani abbiamo sepolto un pesce rosso nell’orto e quasi ogni giorno cadevano dentro casa, dalla canna del camino, dei passeri che a volte tenevo con me qualche giorno; poi tornavano a volare.
Una volta con Giampalma siamo andati al cinema insieme. Siamo andati a Ragusa in treno da soli, ma eravamo entrambi figli di ferrovieri e sul treno ci conoscevano tutti i colleghi dei nostri genitori.
A Genisi c’era anche un gatto, piccolo, al mattino mi svegliava mordendomi delicatamente l’alluce. Mi alzavo e andavo a scuola a vivere quello che ho raccontato, a giocare e a vedere crescere le fave.