La Devianza in età adulta

Commento generale del corso e
riflessione sul rapporto fra il deviante e la società.

 

Laura Marchesi

Affrontando questo corso sulla devianza in età adulta, ci siamo imbattuti nella trattazione e nell'analisi di alcuni aspetti legati alla trasgressione ed all'interpretazione che di questa se ne può dare.

E' stato tracciato un quadro generale dell'esperienza del deviante che spazia dall'osservazione d'alcuni gesti delinquenziali allo studio delle apparenti e delle più profonde motivazioni che spingono ad essi, dall'analisi delle conseguenze più o meno intenzionali sul contesto sociale e sul deviante stesso a quella delle reazioni e degli interventi che la società attua e/o dovrebbe attuare di fronte a tali gesti.

Ho trovato l'argomento trattato ampio, stimolante e indubbiamente interessante.
In particolare mi ha colpito, ed è ciò che vorrei ampliare in questo scritto, la relazione fra il deviante e la società.
Quest'aspetto implica una riflessione su parecchi degli argomenti trattati durante il corso ed evidenzia, forse, la parte abitualmente meno considerata della questione in esame.
Il rapporto del deviante con la società comprende vari aspetti tra cui i più salienti, secondo me, sono: la relazione avuta dal soggetto durante l'infanzia e l'adolescenza con i genitori o gli educatori e con l'ambiente sociale che lo circondava, e il successivo rapporto del criminale con la legge e le figure che la rappresentano in particolare con il giudice.

Il rapporto figlio-genitori è senza dubbio fondamentale per la formazione dello spazio interno del ragazzo; in particolare la dinamica illusione-disillusione tra madre e figlio, vale a dire quel passaggio che va dall'illusione d'onnipotenza, fasulla ed effimera ma fondamentale per la crescita della fiducia del bambino nelle proprie risorse, alla disillusione cioè al riconoscimento da parte del fanciullo dei propri limiti, che interrompe la condizione di diade fra madre e figlio e fa si che quest'ultimo possa formare un proprio spazio psichico interno.

Questo processo presenta numerose variabili e può portare a diversi risultati.
Innanzitutto è fondamentale che nella prima fase la madre accudisca il bambino e lo convinca di possedere un'assoluta onnipotenza risolvendo ogni suo problema senza che lui nemmeno ne abbia cognizione, questa soluzione è la migliore in questo particolare momento, in cui il piccolo è totalmente incapace di risolvere qualsiasi situazione, perché fa si che egli possa sviluppare una buona stima nei confronti delle proprie capacità
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La seconda tappa avviene quando la madre non può più provvedere totalmente ai bisogni, ormai troppo numerosi, del figlio e quindi quest'ultimo è costretto a scontrarsi, per la prima volta, con i limiti della realtà.
Se il processo illusione-disillusione avviene in modo graduale e si affianca al formarsi di uno spazio esterno sufficientemente ampio, il bambino può acquisire una sempre maggiore capacità di confrontarsi con sé stesso e con la realtà che lo circonda, imparando a mantenere la fiducia in sé anche quando la realtà presenta degli ostacoli.

Lo spazio esterno è costituito sia dallo spazio fisico in cui il soggetto cresce, cioè dalle risorse materiali reali che egli ha a disposizione, sia da uno spazio improntato dall'uomo cioè caratterizzato dalle regole e dalla cultura del contesto sociale.
In particolare è fondamentale che al bambino vengano proposte le regole non soltanto nella loro accezione restrittiva, ma anche in quella protettiva in modo che egli possa instaurare con queste un buon rapporto.

Se le condizioni fino a qui esposte vengono a mancare e, in particolare, se il processo illusione-disillusione non avviene adeguatamente e/o se la famiglia fa si che il bambino percepisca le regole solo nella loro versione depressiva-afflittiva di limitazione, il soggetto potrà non sviluppare uno spazio mentale sufficiente e sarà portato di conseguenza alla trasgressione vale a dire ad oltrepassare i confini che delimitano quello spazio per lui troppo ristretto.

La trasgressione è una chiara comunicazione del proprio disagio ed è l'espressione di una situazione di incompletezza cui il ragazzo rimedia attraverso l'appropriazione indebita di ciò che può simboleggiare il suo "vuoto".
Inizialmente la richiesta di comprensione è rivolta ai genitori, ma poi, se non è accolta e soddisfatta da questi, inizia ad espandersi ad altri interlocutori che coincidono, solo nella mente del deviante, con le persone o con le situazioni che hanno prodotto in lui fratture e disagi (per esempio genitori, fratelli, compagni oppure norme inadeguate e ingiuste).

Con il gesto deviante quindi la persona pesca risentimenti e sofferenze del mondo interno, ma produce effetti sul piano della realtà. In specifico il deviante ha un rapporto intenso e particolare con il giudice che lo processa. Per comprenderlo meglio, però, dobbiamo tornare ad un'analisi del rapporto con i genitori.

Il genitore ha molte e importantissime funzioni, tra cui quella di supporto nella ricerca d'identità, di guida nell'acquisizione di competenze ed una funzione normativa.
Questi, inoltre, rappresentano la prima immagine che il figlio avrà dell'autorità e che tenderà poi a ritrovare in tutti coloro che li sostituiranno in questo ruolo.

Se, come detto, le prime provocazioni del figlio dirette ai genitori non sono corrisposte il bambino, essendo stato privato delle altre funzioni parentali e avendo quindi costituito la prima immagine dell'autorità in modo perverso, perderà fiducia anche nei confronti delle regole sociali ed aumenterà il rancore per le leggi e per tutte le figure normative.

A questo processo di inasprimento verso i limiti posti dalla società contribuirà, purtroppo, anche la figura del giudice che si limiterà a valutare la dinamica e l'entità del reato e svolgerà quindi solo una delle funzioni parentali necessarie al delinquente, tralasciando completamente tutte le altre e disattendendo quindi le aspettative del soggetto che cercava in lui il "genitore" mai trovato, cioè una persona in grado di rispondere alle sue provocazioni comprendendolo e ascoltandolo.

Si può parlare così, per il criminale, di una immagine del giudice come padre mutilato o perverso in quanto mancante degli aspetti fondamentali che in lui cercava ed invece interessato all'unico fine di giudicarlo e punirlo.

Tutto quanto ho appreso durante il corso tenuto dal professor Aparo ed esposto in questo scritto mi è servito a comprendere maggiormente cause ed effetti del gesto deviante, ma in particolare mi ha aiutato ad individuare alcuni errori che la società, la politica e l'opinione pubblica spesso commettono e ad ipotizzare alcuni rimedi necessari per ovviare ai maggiori problemi riguardanti la criminalità.

Incrementare azioni preventive di assistenza alle famiglie disagiate e, in particolare a quei bambini che si trovano abbandonati a se stessi e a quelli che vivono situazioni di oppressione in famiglia, significherebbe aiutarli ad abbattere gli impedimenti alla formazione del proprio spazio interno, accompagnarli verso una cognizione delle leggi completa e rassicurante, e quindi eliminare il loro astio per le regole e la loro necessità di trasgressione.
Inoltre si dovrebbero istituire delle figure professionali che, affiancandosi a quella del giudice, possano sopperire alle funzioni parentali di cui il deviante è stato privato e che riescano ad andare di là dalla semplice valutazione del crimine, impegnandosi ad un recupero del soggetto come membro importante ad attivo nella società e debellando quindi l'immagine del criminale come parte "malata" della comunità da recludere e isolare per poter definitivamente risolvere ogni problema riguardante la devianza.