.vieni, voglio farti conoscere un strano angolo di mondo. Fermiamoci qui, a un passo dalla frontiera svizzera, in un paese sopra il lago di Como.
Ecco, è quello: una scuola elementare oggi diventata un centro di accoglienza per ragazzi kosovari, albanesi, curdi
.
Quando ti chiudi la porta alle spalle ti accorgi di essere in un mondo diverso da quello che ti aspetta a casa. Un mondo lontano, che ti avvolge subito con la sua musica arabeggiante, il fumo di una sigaretta sempre accesa, l'odore del cibo riscaldato, i vestiti stesi ad asciugare, qualche divano un po' malconcio, le camere piene di letti, i bagni poco puliti
Arriva qualcuno, ecco, te li presento: sono Baram, Mentor, Andi, Issuf, Roland, Behar, Memet
Mentre parliamo, mescolando italiano e albanese, sento tangibile un modo di affrontare la vita e il mondo molto diverso dal mio, ma quello che mi stupisce e mi affascina di più è scoprire che nonostante molte differenze siamo alla ricerca delle stesse cose: una vita in un Paese in pace e libero, un lavoro, una casa, qualcuno che ci ami, ci capisca ci accolga.
Chiamiamo le stesse cose con parole diverse, le cerchiamo attraverso percorsi e realtà differenti ma sono sempre quelle, e mi affascina vedere vivere questa ricerca in persone di culture, religioni e lingue tanto distanti.
questi pensieri si mescolavano nella mia mente mentre camminavo verso il Beccaria e mi tornavano alla mente tutte le persone che ho incontrato negli ultimi mesi e che tanti considerano "diversi", senza pensare che dalla nostra diversità ne può nascere ricchezza
"ABELE, FRATELLO MIO, TI CHIEDO DI ASCOLTARMI, DI VEDERE IL MIO CAMMINO.
TU, FRATELLO MIO, MI CHIUDI LA PORTA IN FACCIA, NON MI VUOI DARE UNA SECONDA POSSIBILITA', NON VUOI VEDERE CHE IO SONO UN UOMO NUOVO, QUAL'E' LA MIA STORIA, TI BASTA LEGGERE CHE SONO UN PREGIUDICATO..
TU, ABELE, FRATELLO MIO, PER PIU' CHE IO CERCHI DI TROVARTI, DI ASCOLTARTI, NON VUOI SENTIRMI, TU SEI PIENO DI PREGIUDIZI.."
Alejandro è riuscito a mettere bene in parole il filo che sento che unisce i ragazzi del centro di accoglienza e quelli che vivono in carcere.
Il diverso, colui che non parla la nostra lingua, che ragiona, mangia, prega in modo diverso fa paura, e la nostra paura tante volte ci rende ciechi e pieni di pregiudizi.
E' comodo classificare con l'etichetta "cattivo" tutti quelli che trasgrediscono le regole della nostra società o non la pensano come noi. E' comodo e facile, evita di metterci in discussione, di cercare di capire, ci risparmia tanta fatica.
Alcuni, però, ci provano. Il cercare di capire il "perché" mi affascina, anche se riconosco che molte volte mi sento come disarmata di fronte a certe realtà.
Queste lezioni mi hanno dato l'occasione di illuminare un pochino quello che possiamo trovare se andiamo a esplorare le dinamiche della trasgressione, di avvicinarmi al mondo del carcere come un'alunna di prima elementare con il grembiulino e la cartella sulle spalle, con tanta voglia di sapere ma senza pretendere di imparare tutto in una volta o di giudicare. E' stato bello iniziare a imparare almeno le prime tre lettere di questo affascinante alfabeto.
In questa relazione ho voluto illustrare le origini e le dinamiche del gesto deviate, seguendo la mia curiosità.
L'oggetto di queste pagine è il gesto deviante, non la persona deviante.
Il mio intento è quello di evidenziare le elaborazioni soggettive che portano al comportamento criminale, sottolineando le interazioni che si vengono a creare con la realtà che il soggetto ha vissuto e che vive nel momento presente
Il comportamento deviante è sostanzialmente una comunicazione che il soggetto intrattiene innanzitutto con se stesso e con il mondo esterno per urlare qualcosa che non è stato capace di esprimere con altri mezzi o adeguandosi a determinate regole.
Gli interlocutori di questa comunicazione sono le vittime e le figure istituzionali che si occupano del criminale quali il giudice, le forze di polizia e coloro che lo accompagnano durante tutto il tempo di espiazione della pena (guardiano, direttore,medico, psicologo, cappellano
).
Gli interlocutori del presente sono importanti perché la persona che commette il gesto deviante effettua su di loro un investimento che proviene dal passato: presente e passato sono permanentemente in comunicazione tra loro.
Il gesto deviante è l'estremo tentativo di modificare una realtà che ha portato il soggetto lontano dalla realizzazione della sua identità e dalla felicità.
Questo tentativo si muove nel presente ma è segnato dal rapporto col passato attraverso la coazione a ripetere.
La mente tende a tornare anche a situazioni che ci hanno fatto soffrire nel tentativo illusorio di trasformare la realtà presente. Questo vale (ed è molto più complesso) anche per le relazioni: si tende a ripetere un modello di relazione che ha ostacolato lo sviluppo personale e che rende difficoltoso il buon proseguimento della relazione col mondo nel tentativo di migliorare le cose, ma questo risulta molto difficile perché l'individuo ha bisogno di aderire ai modelli che ha conosciuto.
Il deviante - come qualsiasi persona che non abbia potuto elaborare a sufficienza gli eventi traumatici del passato - sente l'esigenza di modificare la situazione presente, ma ha una minore libertà di espressione perché legato a quei modelli che a suo tempo hanno provocato la situazione di stallo, e quanto più pesante e precoce è stato il trauma, tanto più l'ostacolo per modificare la realtà é difficile da superare.
La risposta sociale all'atteggiamento deviante cambia a seconda dell'assetto socio-politico dello stato ed è di fondamentale importanza, infatti una risposta benevola può aiutare il soggetto a superare il trauma e a modificare i suoi modelli di riferimento.