La sfida del pedofilo


Eleonora Bertuzzi

 

La pedofilia

La maggior parte dei pedofili è stata a sua volta vittima di altri pedofili. Alcuni hanno subito violenze sessuali, altri invece delle esperienze molto negative non aventi nulla a che fare con questo tipo di violenze. Hanno per esempio vissuto parte della loro vita in maniera disagiata, magari in orfanotrofi, in centri d'accoglienza con educatori e persone che avrebbero dovuto occuparsi al meglio di loro ma che non l'hanno fatto adeguatamente e in più hanno avuto con il bambino un rapporto, una relazione manipolatori, rendendolo un oggetto del desiderio.

Ma cosa vuole un pedofilo da un bambino?
Il bambino rappresenta quello di cui il pedofilo ha bisogno, è un oggetto da amare.
I pedofili si rapportano con i bambini non essendo essi stessi degli adulti; cercano una rappresentazione esterna di quello che si sentono di essere internamente e nel bambino la trovano più facilmente che nell'adulto.

La prima disposizione del pedofilo nei confronti del bambino è amorevole, protettiva, accuditia, gli offre la medesima disposizione che avrebbe desiderato per sé.
Il pedofilo cerca un oggetto libidico che dia l'idea di essere bisognoso di cure.
Con quest'oggetto gioca a proteggerlo ma, nonostante il suo sentimento d'amore sia positivo, questo non si sposa con un sentimento complementare da parte del bambino.
Il pedofilo vuole trovare se stesso in quello stadio in cui si è bloccato per cambiare gli avvenimenti e lo fa coinvolgendo il bambino che gli rappresenta quella fase della sua vita. Al bambino fa rivivere la stessa situazione d'angoscia che egli stesso ha provato e lo fa recitando il ruolo dell'adulto che, a suo tempo, aveva subito.

La speranza sottesa a tutto ciò è che nella nuova edizione delle vicende antiche le cose possano andare diversamente, ma accade che queste, invariabilmente, si ripetano.

Ma in tutto questo cosa c'entra la componente sessuale?
Il canale della sessualità è uno dei canali più primitivi che permette, anche se in maniera confusa, di veicolare dei messaggi da una persona ad un'altra. Per il pedofilo, il contatto è indispensabile. Alla fine, l'evento traumatico che c'è stato nella vita del pedofilo si ripete anche in quella del bambino, che ha paura, che prova angoscia. A questo punto il pedofilo si sente disperato, perde l'orientamento, deve in qualche modo rassicurare il bambino. Il bambino ha sempre più paura e restituisce al pedofilo l'angoscia, lo fa sentire il cattivo. E a questo punto si giunge, il più delle volte, al raptus omicida.

 

 

La sfida

Qualsiasi delinquente, attraverso la sua azione delinquenziale, lancia una sfida a qualcuno.
Spesso furti, rapine e simili hanno una larga componente di sfida.
Ma cosa significa ciò?

Di solito, parlando di comportamento deviante ci si riferisce, tra le tante cose, al rapporto del deviante con il suo Super- Io. Il delinquente ha con esso un rapporto difficile perché i suo Super-Io è severo, "sadico", autoritario come le persone investite d'autorità con cui ha a che fare e che quindi sfida, sfidando inconsciamente il Super- Io.

Tutti alla nascita siamo sregolati, tutti abbiamo la propensione a rigettare ogni limite. Il deviante è rimasto un uomo comune che, invece di avere gradualmente assunto la capacità di autoregolarsi, è rimasto allo stadio primario, allo stadio del voler soddisfare il piacere non tenendo conto delle regole sociali del vivere bene. Infatti, mentre si cresce, "fanno i conti" con la realtà, in modo da inibire l'onnipotenza e riuscire così ad integrarsi adeguatamente.

Il deviante, al contrario, non ha potuto acquisire i limiti, le funzioni superegoiche. La sfida diventa quindi il mezzo tramite il quale si possono recuperare le componenti d'onnipotenza.

 


Le tipologie negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti è stato fatto uno studio sui profili psicologici di tutti i pedofili arrestati e messi in comunità di recupero dopo almeno sette anni di carcere. Dalla somma di questi profili sono state ricavate due tipologie principali di pedofili:

  1. L'abusante regressivo

  2. L'abusante fissato

L'abusante regressivo per varie circostanze è regredito all'abuso per controllare la sua vita. Il suo abusare inizia da adulto; abusa in maniera sporadica. A volte usa droghe e alcol e non necessariamente ha subito violenze da piccolo. Il suo movente è riguadagnare il controllo sulla sua vita. Molto spesso è sposato o comunque convive o ha una relazione stabile. Non ha legami clandestini al di fuori della relazione (non equilibrata) con il partner. È molto solitario.
Le sue vittime sono femmine. Fa sentire la bimba "prescelta" come un'adulta, come la sostituta di sua moglie o della sua fidanzata. Il problema più grosso è che la bambina si sente gratificata da questo, si sente importante.
Il pedofilo capisce che sta commettendo un errore e proprio per questo può essere recuperato. I suoi abusi sono prolungati nel tempo.

L'abusante fissato è un uomo che a sua volta ha subito abusi da piccolo e si rivolge ai bambini proprio perché non ha una vita sessuale normale. La sua attività pedofila inizia durante l'adolescenza. È un personaggio che può anche ricoprire un ruolo influente nella società ed è difficile da riconoscere perché ha un elevato controllo del suo stress.
Agisce come se i suoi abusi fossero premeditati e pianificati.
Le sue vittime sono maschi che assomiglino a lui quando ha subito l'abuso. Cerca un bambino che abbia una carenza affettiva da colmare così lui si pone come genitore sostitutivo.
Le sue avances iniziano con azioni non spaventanti e "normali". Tiene questo comportamento per periodi prolungati fino a che stabilisce una nuova relazione oppure fino a quando non trova un'altra vittima, perché la precedente ha oramai superato la fascia d'età da lui prediletta.
Non usa droghe o alcool; raramente è sposato e, se lo è, è solo per copertura.
Ha delle possibilità di recupero estremamente limitate perché tutta la sua vita ruota attorno all'abuso.

 

La pedofilia di Chiatti

Vorrei esporre il caso di Luigi Chiatti, colui che ha ucciso nell'ottobre 1992 Simone Allegretti, bimbo di quattro anni e mezzo e Lorenzo Paolucci, di anni tredici, nell'agosto del 1993.
Ma perché il cosiddetto dalla stampa "Mostro di Foligno" uccise proprio due bambini?
Perché non si accanì contro persone della sua stessa età? (all'epoca dei fatti ne aveva 23), o comunque adulte?

Bisogna innanzi tutto considerare quattro fattori molto importanti:

  1. Chiatti era sempre pervaso dalla solitudine, dal vuoto, si sentiva incapace di comunicare, sentimenti riconducibili al difficile rapporto con i genitori adottivi (la madre naturale lo affidò ad un orfanotrofio perché non in grado di mantenerlo. Fu poi adottato da un'ex insegnante e da un medico). Dal padre, sempre silenzioso e burbero, si è sempre sentito rifiutato e nei suoi confronti ha sempre nutrito rancore. La madre la ricorda dura, minacciosa e pericolosa. Insomma, nessuno dei due è stato in grado di donargli affetto, calore e amore, di cui è sempre stato privo.

  2. L'omicida ha sempre sentito il bisogno, inappagato, di essere accettato e di essere amato. Non sa cosa voglia dire essere accudito in modo continuo da una madre amorevole.

  3. Ha sempre avuto un'immagine negativa di se stesso. Disse ai periti: "Già prima mi sentivo isolato, messo da parte, mi sentivo già un mostro prima ancora di aver ucciso Simone (…) Tutte le mie sofferenze sono passate in silenzio".

  4. Lentamente, il suo interesse sessuale per le donne ha virato verso l'omosessualità per concludersi con la pedofilia. Ha sempre considerato rischioso e inappagante l'amore per l'altro sesso. L'omosessualità, invece, la indirizza prima verso maschi suoi coetanei e poi man mano verso i bambini. Iniziarono così le sue fantasie di fuggire rapendo due bambini, per risolvere così i suoi bisogni insoddisfatti di essere accettato e amato, come avrebbe appunto potuto fare un piccolo bambino che si affidasse a lui. Disse: "Il bambino che volevo rapire e tenere con me per qualche anno lo avrei protetto e trattato bene per risolvere i miei problemi di sesso e di solitudine".

I bambini quindi, come tutte le persone, vengono da lui considerati solo delle "cose". Quando rievoca ai periti i due omicidi, non fa trasparire alcun segno di incertezza, colpa, rimorso, anzi, lo fa nei minimi particolari. Questo è uno degli aspetti cardine della sua personalità: non sapendo cos'è l'amore della madre, non sa amare gli altri.

Raccontò ancora ai periti: "Non ho mai avuto rapporti sessuali, né con uomini, né con donne e non farei mai un rapporto: lo vedo come una cosa sporca (…) Con un bambino è diverso; il bambino non lo vedo sporco".

Da queste parole capiamo che la sessualità per l'omicida si realizza solo con l'omosessualità, ma è una cosa sporca se fatta tra adulti. Se l'altra persona è un bambino, allora è pulito, solo in questo caso è una "trasmissione d'amore".

Chiatti cercava, come tutti i pedofili, un oggetto libidico bisognoso di cure. Inizialmente voleva anch'egli proteggerlo per evitare che non gli mancasse amore come accadde a lui ma poi li uccise.

Ma perché?
"Dalla totale gioia sono passato alla tristezza, al dolore interno. Il suo pianto mi ha provocato dolore. Il bimbo piangeva e io ho voluto che cessasse di soffrire (…) Il suo pianto ha aperto una porta dentro di me, dove io tenevo chiuse le cose in negativo: quel mostro che sento dentro di me".

Queste parole, riferite all'omicidio di Simone, esprimono come il sentimento che Chiatti prova per il bimbo non è corrisposto, perché la piccola vittima è angosciata e trasmettendo l'angoscia al suo aggressore lo fa sentire cattivo. Come si è visto, da questo stadio all'omicidio il passo è breve.

Lorenzo si può dire sia stato ucciso anche per un altro fattore entrato in gioco, cioè l'invidia:

"Lorenzo (…) aveva una capacità migliore di me di vivere la sua insicurezza. Io avevo una timidezza ancora più chiusa di lui (…) Lui era più dentro al gruppo e io più fuori; rispetto a lui mi sentivo maggiormente gravato dai miei problemi. Lui mi faceva venire dei pensieri negativi, e la cosa mi dava fastidio, mi provocava rabbia e risentimento".

Ritenuto dai due periti, Gianluigi Ponti e Ugo Fornari, capace di intendere e di volere al momento dei delitti, la Corte d'Assise di Perugina il 28 dicembre 1994 lo condannò a due ergastoli.

 


La Sfida di Chiatti

Sfidare per recuperare l'onnipotenza, sfidare per dimostrarla al mondo, sfidare le autorità per andare oltre i limiti.
Tutto questo lo fece anche Luigi Chiatti. Egli agì lucidamente, uccise anche per non essere scoperto, cancellò attentamente le tracce, cercò di deviare i sospetti e si prese gioco degli investigatori.
In che modo?

Pochi giorni dopo il ritrovamento di Simone, la polizia arrestò un giovane lombardo, rivelatosi poi un mitomane. Quando era ancora indiziato, in una cabina telefonica di Foligno fu rinvenuto il seguente messaggio anonimo:

Aiuto!
Aiutatemi per favore!
Il 4 ottobre ho commesso un omicidio.
Sono pentito ora, anche se non mi fermerò qui.
Il corpo di Simone si trova vicino la strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli.
È nudo e non ha l'orologio con cinturino nero e quadrante bianco.
P.S. non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto.
Ho usato dei guanti.


Saluti. Al prossimo omicidio.
Il mostro.


Qualche giorno dopo, si trovò la seconda lettera:

Aiuto!
Non riesco a fermarmi!
L'omicidio di Simone è stato un omicidio perfetto.
Certo, è dura ammettere che sia così da parte delle forze dell'ordine, ma analizziamo i fatti:

  1. Io sono ancora libero;
  2. Avete in mano un ragazzo che non ha nulla a che fare con l'omicidio;
  3. Non avete la mia voce registrata, perché non ho effettuato nessuna telefonata, quindi chi dice che ho telefonato al numero verde sbaglia;
  4. Le telecamere non mi hanno inquadrato durante il funerale di Simone, perché non ci sono andato.

Siete quindi fuori strada;
vi consiglio di sbrigarvi, evitando altre figuracce.
Non poltrite.
Muovetevi.
Credete che basti una divisa e una pistola per arrestarmi.
Usate il cervello, se ne avete uno ancora buono e non atrofizzato dal mancato uso.
N.B. perché vi ho scritto di sbrigarvi? Perché ho deciso di colpire di nuovo la prossima settimana.
Volete saperne di più? Vi ho già detto troppo, ora tocca a voi evitare che succeda.

Il mostro.

Se nella prima lettera l'omicida deve ancora "prendere confidenza" ma già esprime il suo potere, la sua furbizia rispetto alle forze dell'ordine perché ha avuto l'accortezza di non lasciare impronte, la seconda lettera è tutta una presa in giro, una sfida, appunto, lanciata alle autorità. Si sente onnipotente, l'omicidio secondo lui è stato perfetto, è imprendibile anche perché i poliziotti, secondo lui, non hanno cervello e anzi, si permette il lusso di sostenere che ne commetterà un altro, anche se poi, fortunatamente, non lo farà.