Buongiorno,
sono una studentessa del terzo anno e sto seguendo il suo corso sulla devianza.
La lezione di mercoledì scorso sulle micro e macro scelte mi ha colpito in modo particolare.
La questione dell'incapacità di intendere e di volere apre numerose riflessioni, una tra tutte quella relativa a quanto ciò che si fa sia realmente determinato da una SCELTA. Da un certo punto di vista, anche se nel momento del reato il soggetto potrebbe trovarsi nell'incapacità oggettiva di fare una scelta consapevole, egli è certamente responsabile di aver compiuto in passato scelte che lo hanno indirizzato su un determinato percorso, riducendo progressivamente il campo delle alternative possibili.
Ciascuna scelta compiuta rende sempre meno numerose le scelte possibili del futuro, fino a portare anche a un inevitabile aut aut (forse si è cominciato per gioco a rubare, si è iniziato da piccoli furtarelli e ogni volta la strada verso un nuovo reato è sempre più in discesa, anche quando si è cercato di trovare un lavoro serio, i precedenti penali fanno sì che il numero delle porte chiuse davanti a sé aumenti).
Si sentiva il percorso criminale come l'unico accessibile e un giorno si è decisa la svolta. Ancora molte erano le alternative tra cui si poteva scegliere, ma si è imboccata la strada della rapina in banca, una micro-scelta di cui si sono sottovalutate le conseguenze. Anche dopo aver preso questa decisione, i modi in cui attuarla potevano essere molteplici, ma si è preferito andare sul "sicuro", sulla classica rapina a mano armata, giusto per intimorire, "sicuri" di non volere uccidere nessuno. Ma quando ci si trova di fronte alla guardia che ti punta contro l'arma e ti intima di arrenderti o ti spara, le alternative sono poche, pochissime: arrendersi e andare in carcere o sparare per essere "liberi"?
Ecco l'aut aut, una macro-scelta che cambierà la propria vita, una scelta di cui non si sarà forse pienamente consapevoli, forse nemmeno pienamente responsabili, ma a cui si è stati condotti da una serie di microscelte che hanno travolto la propria esistenza fino a indurre a premere il grilletto. Dalla rapina all'omicidio. Uccidere era forse quello che si voleva?
Si è certamente consapevoli del fatto che si stanno superando i confini, anche perché, soprattutto per l'adolescente è proprio questa sensazione che rende il comportamento in questione ancora più appetibile, ma nel fare una scelta del genere non sempre vengono colte tutte le possibili conseguenze morali, giuridiche e sociali che essa determina. Le MICROSCELTE sono tali perché si compiono senza accorgersi realmente delle conseguenze che da esse deriveranno:
certe cose avvengono perché sono favorite da premesse che hanno fatto sì che capitasse una certa cosa piuttosto che un'altra e queste premesse sono date da tante piccole microscelte, di cui non si sono valutate le implicazioni, che conducono pian piano verso MACROSCELTE di grande importanza (sparare o arrendersi) di cui, a quel punto, si percepiscono consapevolmente le conseguenze concrete sulla propria vita.
Al momento della macroscelta si può anche uscire dal percorso che si è seguito fino a quel momento, ma una scelta del genere è molto più difficile di altre.
Ciascuna scelta fatta lungo un percorso deviante rende più facile l'accesso ad altre scelte e ad altri comportamenti analoghi: si apre l'orizzonte delle possibilità di scelta nell'ambito della devianza ma si restringe progressivamente quello delle scelte di tipo costruttivo. Una certa scelta può determinare a catena una serie di comportamenti e di ulteriori decisioni che non si erano previste; la propria vita comincia a scorrere lungo un binario, lungo un sentiero sempre più marcato da cui diventa progressivamente più difficile uscire. Quando la corrente che trascina in una direzione è diventata ormai travolgente e non si vede più altra via d'uscita che proseguire con essa, non è facile trovare un appiglio per "mettersi in salvo"; occorre trovarne uno che sia così forte da farti abbandonare il tracciato.
Queste riflessioni mi hanno richiamato alla mente il libro di Susanna Tamaro "Va dove ti porta il cuore" che a un certo punto dice:
"La via che hai percorso non era dritta ma piena di bivi, ad ogni passo c'era una freccia che indicava una direzione diversa; da lì si dipartiva un viottolo, da là una stradina erbosa che si perdeva nei boschi. Qualcuna di queste deviazioni l'hai imboccata senza accorgertene, qualcun'altra non l'avevi neanche vista; quelle che hai trascurato non sai dove ti avrebbero condotto, se in un posto migliore o peggiore; non lo sai ma ugualmente provi rimpianto. Potevi fare una cosa e non l'hai fatta, sei tornata indietro invece di andare avanti. Il gioco dell'oca, te lo ricordi? La vita procede presso a poco allo stesso modo. Lungo i bivi della tua strada incontri le altre vite, conoscerle o non conoscerle, viverle a fondo o lasciarle perdere dipende soltanto dalla scelta che fai in un attimo; anche se non lo sai, tra proseguire dritto o deviare spesso si gioca la tua esistenza, quella di chi ti sta vicino"
"Sai qual è un errore che si fa sempre? Quello di credere che la vita sia immutabile, che una volta preso un binario lo si debba percorrere fino in fondo. Il destino invece ha molta più fantasia di noi. Proprio quando credi di trovarti in una situazione senza via di scampo, quando raggiungi il picco di disperazione massima, con la velocità di una raffica di vento tutto cambia, si stravolge, e da un momento all'altro ti trovi a vivere una nuova vita"
Ciò su cui occorre riflettere è che la legge non può avere come unico scopo quello di "MISURARE" quanto uno sia uscito dal seminato e quanto nel farlo "fosse capace di intendere e di volere"; la legge deve dare delle indicazioni su ciò che è giusto fare facendosi interprete della morale. Una funzione ineliminabile della legge deve essere quella di ORIENTAMENTO e solo successivamente quella di MISURAZIONE nel caso in cui qualcuno abbia perso l'orientamento trasgredendo alla sua guida. Il problema, a questo punto, è capire se chi compie un atto deviante sia in grado di percepire le possibili conseguenze del suo comportamento.
Se la misurazione dimentica di essere l'altra mano dell'orientamento, la legge viene privata del suo fondamento.
Da qui il paradosso di arrivare a misurare ciò che è totalmente fuori da ogni misurabilità. Per poter attuare una condanna di cui la società e il cittadino sentono la necessità, ci si trova a sostenere posizioni assurde: si dichiara un individuo che ha commesso un gesto al di là di qualunque comprensibilità come capace di intendere e di volere: ma di volere che cosa? Che cosa voleva veramente quando ha fatto ciò che ha fatto? Ha scelto ciò che ha scelto o si è trovato ad attuare un comportamento conseguentemente a scelte di cui non aveva valutato le conseguenze?
Queste riflessioni sono per lo più evitate, trascurate anche da chi si occupa di applicare la legge perché, tenendole in considerazione, si rischierebbe di dover riconoscere un soggetto come incapace di intendere e di volere rendendolo così non punibile. Non è questo ciò a cui si vuole arrivare, ma tale problematizzazione può rendere consapevoli di quanto sia sbagliata la domanda sull'incapacità di intendere e di volere: in fondo ciascuno di noi e in ciascun suo comportamento ha una facoltà di scelta solo parziale. Con ciò non si vuole comunque sostenere che, poiché nessuno è completamente responsabile delle sue azioni, allora nessuno deve essere condannato.
Cristina