UNIVERSITA' DEGLI STUDI MILANO BICOCCA |
Livia Nascimben | 27-10-2008 |
Tirocinio post lauream VO
Sede: Casa Circondariale di San Vittore – Milano
Progetto: Gruppo della Trasgressione (Associazione Trasgressione.net)
Area: Psicologia Sociale
Tutor: dott. Angelo Aparo
Periodo: dal 15/3/2008 al 19/9/2008
Totale ore: 500
Ho svolto il secondo semestre di tirocinio presso il “Gruppo della Trasgressione”, attivo nelle carceri milanesi di Bollate, Opera e San Vittore e coordinato dal dott. Angelo Aparo, psicoterapeuta e psicologo per il Ministero di Grazia e Giustizia, e mio tutor. La scelta di svolgere il tirocinio seguendo le attività del Gruppo della Trasgressione è stata dettata dal desiderio di ufficializzare un percorso di studio e di crescita personale e professionale che dura –all’interno di questo gruppo- da oltre sei anni. Ho conosciuto questa realtà nel 2001 durante la frequentazione del corso di “Psicologia della devianza in età adulta”, tenuto dal professor Aparo, e dal 2002 faccio stabilmente parte del gruppo. Ho inoltre redatto la mia tesi di laurea sul Gruppo della Trasgressione svolgendo un’analisi qualitativa del materiale prodotto dai componenti del gruppo e di interviste costruite per indagare la percezione del gruppo da parte dei suoi membri e delle figure istituzionali che vi interagiscono, magistrati di sorveglianza e direttori di istituto.
Il Gruppo della Trasgressione nasce dall’aspirazione di rendere operativa l’affermazione generale della legge che la pena deve tendere al recupero del condannato. Gli obiettivi ideali della pena, stabiliti dall’art. 27 della Costituzione Italiana e dall’Ordinamento Penitenziario, si scontrano con condizioni di realtà che ne impediscono il loro raggiungimento. Lo psicologo carcerario opera in un ambiente in cui mancano le condizioni affinché una persona possa riflettere costruttivamente sulla propria esperienza. Il detenuto è portato strutturalmente a raccontare allo psicologo ciò che egli crede sia utile per potere usufruire delle misure alternative; nei colloqui con lo psicologo (peraltro richiesti dall’istituzione e non dal detenuto) egli ha come principale obiettivo la sua scarcerazione, non una revisione critica del proprio passato in previsione di un futuro più sereno e responsabile. Da queste premesse, nel 1997 nasce in carcere un gruppo di riflessione sulle dinamiche della trasgressione. Lo scopo principale era fare in modo che l’azione dello psicologo non si riducesse a diagnosi e prognosi sul detenuto, ma aprisse lo spazio nella relazione col detenuto (come in una psicoterapia di gruppo o in un gruppo di studio) per una concreta e non pervasiva sollecitazione a dialogare con se stessi ed evolversi. Il gruppo è partito dunque con lo scopo dichiarato (e per i detenuti bene accetto), di cercare assonanze ed elementi di continuità nelle differenze (la parentela tra il delinquente che trasgredisce una regola abbattendola e l’artista che trasgredisce un codice di espressione inventandone uno nuovo) e di coinvolgere progressivamente nella ricerca la società esterna. Inizialmente formato solo da detenuti, oggi del gruppo fanno parte anche comuni cittadini, soprattutto studenti universitari e neolaureati di Psicologia, Giurisprudenza e Filosofia.
I principali obiettivi del gruppo consistono nell’alimentare la comunicazione tra parti separate (interne ed esterne all’individuo), nel riflettere sul rapporto dell’individuo con se stesso e con il corpo sociale, nel ricostruire e restituire la responsabilità individuale e nel promuovere l’evoluzione dei partecipanti e la maturazione delle loro competenze.
Il raggiungimento degli obiettivi enunciati avviene attraverso la partecipazione attiva e propositiva alle attività del gruppo:
Durante gli incontri settimanali vengono letti e commentati gli scritti prodotti indifferentemente da detenuti e studenti sul tema oggetto di indagine come, ad esempio, la sfida, il rapporto con l’autorità, il potere, la creatività. Gli scritti individuali, i verbali degli incontri e gli interventi di cittadini comuni ed esperti vengono poi pubblicati sul sito www.trasgressione.net. Il sito facilita lo scambio con la società esterna e contribuisce a fornire una testimonianza della strada percorsa dal gruppo e dai singoli componenti. Agli incontri esterni al carcere partecipano anche i detenuti che possono usufruire di permessi e gli ex detenuti che, una volta finita la carcerazione, seguono dall’esterno le attività.
Nel corso del tirocinio, da marzo a settembre 2008, ho partecipato agli incontri del gruppo sia dentro che fuori le mura, contribuendo alla loro definizione e organizzazione, e ho dedicato parte del tempo al confronto con il tutor sulle dinamiche di gruppo osservate, nonché all’approfondimento della metodologia di intervento utilizzata nella prevenzione della devianza e della tossicodipendenza.
In particolare ho partecipato agli incontri settimanali nelle tre carceri milanesi. In questi incontri i membri interni ed esterni del gruppo, tirocinanti e ospiti compresi, svolgono lo stesso ruolo: mettere a disposizione del gruppo le proprie competenze ed essere l’uno per l’altro specchio di ciò che può essere perduto e poi ritrovato, di percorsi interrotti e poi recuperati.
Un incontro significativo è stato quello su Caravaggio con lo storico d’arte Stefano Zuffi. In quell’occasione si è riflettuto, con il supporto delle opere d’arte, sui diversi tipi di chiamate a cui l’individuo è invitato quotidianamente a rispondere: la chiamata del narcisismo, della smania di potere, dei propri fantasmi (vedi “Narciso”) e la chiamata che viene dalle figure con cui possiamo sviluppare una relazione (vedi “La vocazione di Matteo”). Ognuno, dando voce ai personaggi presenti sulla scena dei diversi dipinti, ha cercato di rispondere alla domanda: chi chiama chi e a cosa? E allora si è parlato della chiamata tra figli e genitori, tra insegnante e studente, tra detenuto e istituzione, tra obiettivi personali e resistenze.
L’obiettivo del progetto “La chiamata” -che non si è ancora concluso e che vedrà avvicendarsi al gruppo professionisti di campi di studio diversi- è di creare lo spazio interno per passare gradualmente dalla chiamata del narcisismo alla chiamata della collettività, dal desiderio di rifarsi dei torti subiti al piacere di prendersi cura delle proprie aspirazioni. E di portare poi il frutto del lavoro ad un convegno aperto alla cittadinanza e nelle scuole.
Ho inoltre seguito i dieci incontri e il convegno conclusivo del seminario su “La rieducazione in carcere” tenuto dal dott. Aparo all’interno del corso di “Diritto Penitenziario” della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, con la partecipazione di una rappresentanza di agenti di Polizia Penitenziaria delle carceri di Bollate, Opera e San Vittore.
Questi incontri avevano come oggetto di studio le condizioni che favoriscono od ostacolano una relazione matura con se stessi e con la collettività, gli strumenti utili affinché una persona possa acquisire la motivazione e le competenze per diventare un cittadino responsabile e i mezzi a disposizione degli operatori penitenziari per svolgere il proprio mandato: contribuire alla rieducazione del condannato insieme ai liberi cittadini e agli stessi detenuti, così come dichiarato dalla legge.
Detenuti del gruppo e agenti di polizia penitenziaria, nel confrontarsi sugli argomenti oggetto di discussione, hanno attuato una insolita e proficua collaborazione: riflettere su cosa l’istituzione chiede agli uni e agli altri e, contemporaneamente, motivare gli studenti di giurisprudenza ad una riflessione critica sulla realtà interna dell’uomo e sulla realtà carceraria.
Infine ho preso parte agli incontri con le scuole, dentro e fuori dal carcere, inseriti all’interno dei progetti di prevenzione della devianza e di educazione alla legalità rivolti agli adolescenti.
Questi incontri hanno visto la partecipazione attiva alle discussioni degli alunni delle classi coinvolte e dei membri del gruppo. A volte per stimolare le discussioni è stata coinvolta la Trsg.band con i personaggi imperfetti e le storie sbagliate delle canzoni di Fabrizio De Andrè. Tra i temi trattati: il rapporto con le regole e l’autorità, il piacere della responsabilità, le domande abortite del bullo, il divenire delle scelte personali, la libertà.
Lo scopo di queste iniziative è costruire un ambiente dove sperimentare il piacere di collaborare ad un progetto comune: il detenuto consegna all’adolescente il lavoro fatto su se stesso, mentre l’adolescente si interroga e stimola il detenuto a diventare cittadino, attraverso domande e riflessioni. Durante questi incontri, il compito dello studente membro del gruppo –e quindi anche il mio compito come tirocinante- è stato lo stesso del detenuto: evidenziare la possibilità di superare errori e momenti di difficoltà attraverso l’impiego delle proprie energie in lavori condotti insieme.
La frequentazione per anni agli incontri, il lavoro di tesi e lo svolgimento del tirocinio mi hanno permesso di identificare alcuni aspetti caratterizzanti l’identità di questo gruppo, unico in Italia:
Ritengo che il maggior pregio di questo tirocinio sia stato l’avere partecipato fattivamente alla vita del gruppo senza essere solamente un’osservatrice. Per chi viene da fuori, ogni volta è disorientante l’esperienza di venire aiutata a diventare una persona più ricca e matura da dei detenuti; per il detenuto tale dinamica diventa motore per la sua emancipazione.
I limiti, forse, di questo tirocinio sono stati non avere cercato il confronto con altre realtà che operano all’interno degli istituti e non avere approfondito il ruolo dello psicologo in carcere e delle altre figure coinvolte nel processo di evoluzione del condannato; nonostante mi sia occupata del lavoro di rete mantenendo il contatto con le figure istituzionali deputate a promuovere le attività del gruppo all’interno del carcere e con alcuni insegnanti per gli incontri con le scuole.
Desidero concludere questa mia relazione con la citazione di un intervento fatto da un detenuto membro del Gruppo della Trasgressione al convegno dal titolo “Il male: produzione, distribuzione, consumo e usi alternativi” al Palazzo di Giustizia di Milano nel giugno del 2007: “La legge mi ha fregato due volte, la prima quando mi ha condannato, la seconda quando mi ha permesso di uscire per incontri come questo”.