Proveniente dalla pediatria, Winnicott si caratterizza come un autore capace di formulare con tono bonario e discorsivo costruzioni dialettiche di grande respiro. La lettura che egli propone del tramonto della funzione allucinatoria e dello strutturarsi del rapporto col limite si sviluppa all'incrocio fra due assi portanti della sua impalcatura teorica:
Il bambino si dispone al riconoscimento e alla "prensione della realtà" non per il fallimento della funzione allucinatoria, ma in funzione del "successo" che le prime illusioni onnipotenti conseguono grazie agli interventi di una madre adeguatamente accuditiva (la madre devota).
Dell'illusione Winnicott sottolinea non già la distanza dal piano di realtà, bensì l'affezione e la fiducia che il bambino "illuso" ne sviluppa da un lato verso la sua stessa attività psichica e dall'altro verso gli oggetti esterni. A sua volta, la disillusione assolve una funzione emancipativa proprio in quanto viene adeguatamente modulata all'interno della relazione duale, consentendo così un progressivo riconoscimento dell'oggetto e del sé.
Sotto la protezione della cellula diadica, illusione e disillusione concorrono a che il bambino sviluppi fiducia verso le sue risorse creative e, grazie a ciò, tolleranza verso le separazioni e i limiti che la realtà impone. Strumento esemplare di tale percorso è l'oggetto transizionale, oggetto di confine fra il sé e il non sé (e altro elemento di spicco della produzione winnicottiana), di cui il bambino si serve per garantirsi una separazione non traumatica dalla madre e una certa tranquillità nella esplorazione degli oggetti esterni.
Le condizioni che fondano e alimentano il divenire del rapporto oggettuale vengono quindi legate prima all'illusione di aver creato la mammella che la madre offriva al momento opportuno (object presenting) e poi alla conseguente capacità di trovare nell'oggetto reale non solo un limite, ma anche uno strumento per rielaborare il proprio rapporto con l'oggetto primario.