"Le avventure di Alex sono una sorta di mito psicologico. Il nostro subconscio prova un senso di sollievo in Alex proprio come gli accade nei sogni. Esso soffre nel vedere Alex imbavagliato e punito dalle autorità mentre una buona parte della nostra coscienza ammette che deve essere così." Stanley Kubrick (1972) |
Analisi dal punto di vista della Psicologia della devianza del film
Arancia Meccanica
di Stanley Kubrick
Uscito nelle sale nel 1971, accolto da polemiche che ancora oggi non si possono definire del tutto sopite, il film di Stanley Kubrick tratto dal romanzo "Un'arancia ad orologeria" di Anthony Burgess è una crudele parabola sul libero arbitrio, sul gesto deviante, sulla necessità della pena e sulla natura stessa della pena. Pone a chiare lettere un inquietante interrogativo che non può lasciare indifferenti chi deve occuparsi di queste tematiche: "E' più immorale togliere ad un uomo la libertà imprigionandolo o invece trasformarlo in un'arancia meccanica, in un robot privandolo del libero arbitrio?"
La vicenda è ambientata in Inghilterra, dove bande giovanili sconvolgono la normale routine degli abitanti senza distinzione fra classi agiate e poveri barboni.
Alex è il leader di una gang di adolescenti che chiama drughi, i cui principali interessi sono lo stupro, la droga (che assumono abitualmente nel loro ritrovo, il "Korova Milkbar") e l'ultraviolenza. Studente, figlio di operai, Alex è appassionato di musica, in particolare di Beethoven, ma dietro la facciata del bravo ragazzo nasconde un'insana passione verso tutto ciò che viene socialmente considerato deplorevole e maligno.
Lo vediamo violare, coi suoi drughi, la "home" di uno scrittore politicamente impegnato (il Sig. Alexander) e della moglie, abusare di quest'ultima e picchiare il marito fino a lasciarlo invalido.
Dopo aver compiuto un omicidio a scopo di rapina i membri della gang, già scontenti di alcuni suoi atteggiamenti e bramosi del ruolo di leader, lo tradiscono denunciandolo alla Polizia.
Arrestato e condotto in carcere, Alex scopre che il governo sta sperimentando un trattamento medico (la "cura Ludovico") con lo scopo di rimettere in libertà i detenuti che affollano le carceri. Offertosi volontario per sfuggire alla prigionia, viene trasformato in un giovane incapace di qualunque reazione o pensiero violento.
Tornato libero subisce la vendetta dello scrittore Alexander che, aiutato da politici che si oppongono al Governo in carica, lo spinge a tentare il suicidio.
Miracolosamente scampato alla morte, non accusa più gli effetti inibitori della cura Ludovico e, protetto dal Governo che lo utilizza a scopo propagandistico, è di nuovo pronto a ripercorrere le efferatezze del passato.
Dovendo per scelta "professionale" e per inclinazioni personali pormi delle domande sulla natura dell'agire umano e sulla nascita del gesto deviante non ho potuto che far partire questa mia riflessione dal film di Stanley Kubrick "Arancia Meccanica", visto come mirabile rappresentazione di molti degli aspetti discussi nel corso "la devianza in età adulta".
Il film offre notevoli spunti di riflessione e si pone come chiaro esempio e motivo di discussione per molti temi da noi trattati a lezione.
Ho scelto la forma di domanda e risposta per portare avanti questa analisi in quanto mi appare la più appropriata per esaminare i complessi aspetti della riflessione sulla realtà, tenendo sempre presente sempre che ciò che più conta è il metodo, il porsi delle domande e cercare continuamente di darsi una risposta.
1) Quali possono essere le motivazioni che spingono Alex e i suoi drughi a perseguire il male?
Per prima cosa è innegabile che Alex scelga deliberatamente il male. E qui, se vogliamo, la finzione scenica prende il posto della complessità del reale: Alex è un antieroe perfetto, e in quanto tale non esiste nella realtà. Egli è perfettamente cattivo e deliberatamente malvagio, non mostra alcun segno di pentimento né di rimorso per il suo operato.
La realtà, come certamente ben conosce chi vive da vicino l'esperienza del carcere, è estremamente più complessa e sfaccettata: nessuno sceglie il delinquere come unica via della propria vita, ma è piuttosto uno stretto gioco di rinforzi e di coercizione a ripetere che segnano la vita intrapresa dal delinquente.
Tutti noi abbiamo provato un episodio di trasgressione, anche solo, citando Winnicott, l'atto di rubare una caramella o i soldi dal borsellino della madre: perché facciamo questo?
Per riprenderci ciò che crediamo ci sia stato sottratto: un gioco, un poco di attenzione, magari anche solo un sorriso. Ma ovviamente questo appagamento fantasmatico non dà vera soddisfazione, e laddove qualcuno senta che ciò che gli è stato tolto dai genitori, come dalla società o dallo Stato, è immensamente più grande di quello che si può riprendere, allora tenderà a ripetere e ripetere ancora il furto in un infinito tentativo di ritrovare quello che non si ha mai avuto.
2) Cosa c'è nella mente del deviante? Le visioni di arte e di morte nella mente di Alex rappresentano l'immaginario della mente criminale?
La trasgressione per Alex, come quella di tutti, non è solo un momento distruttivo, essa si caratterizza anche come momento creativo. La trasgressione di Alex crea l'arte, diventa essa stessa arte: si tramuta in musica trasformando la sublime opera di Beethoven nella colonna sonora elettro-pop di pestaggi, stupri e rapine; si serve delle immagini psichedeliche ispirate dalle "drogucce mescaline" che i drughi prendono al "Korova Milkbar" che si fondono con i quadri, le tappezzerie, le architetture.
E' una trasgressione creativa perché serve ad Alex a modificare la realtà, a farsi demiurgo di una nuova realtà in cui la droga e la violenza gli concedono ciò che ha sempre cercato: l'illusione dell'onnipotenza.
3) Quale rapporto c'è tra il carnefice (Alex) e le vittime (la società)? E nel momento dell'arresto non vi è il pericoloso rischio che questi ruoli si invertano trasformando lo strumento di correzione (il carcere) in uno strumento di vendetta?
Nel momento in cui si compie un gesto criminale si crea necessariamente una frattura nella società. Più il gesto sarà grande o efferato, tanto più lungo e laborioso sarà il compito di ricucire la frattura fra il carnefice e la vittima, ossia la società stessa.
Nell'ambito della Filosofia del Diritto si è più volte cercato di spiegare e di indicare quale debba essere la funzione della pena, ossia quella di risarcimento del danno causato e quella di risocializzazione dell'individuo che si è chiamato fuori dalle regole della società civile.
Lo strumento per ottenere tutto ciò è il carcere, che però appare inadeguato allo scopo stesso per il quale è stato progettato.
Alex, come ogni altro detenuto, si accorgerà presto che non gli è concesso spazio personale per poter crescere non avendo nemmeno la possibilità di usare produttivamente il proprio tempo, né di mantenere un rapporto attivo con la società che un giorno dovrà riaccoglierlo (e che nel film non lo riaccoglierà mai). Non avrà gli strumenti necessari per poter riflettere sulla portata delle proprie azioni, e non solo non farà progressi ma si troverà a regredire dal punto di vista psicologico, imparando la menzogna la falsità ed alimentando il suo senso di rivalsa nei confronti della società.
4) Il carcere, il recupero, la "cura" stessa al male possono davvero trasformare o in qualche modo "riprogrammare" un criminale?
Il racconto, nato dalla mente di Anthony Burgess nel 1961, nasce dall'idea di scrivere un romanzo sul lavaggio del cervello, come dice lo stesso Burgess nella lettera scritta in occasione dell'uscita del film nel 1971. Fu ispirato in particolare dalla stampa britannica che all'epoca diede ampio risalto ad episodi di violenza che avevano giovani come protagonisti. Allora, come oggi, sembrava che carcere e riformatorio rendessero i detenuti ancora più cattivi e si andava diffondendo l'idea, espressa da singoli ma influenti teorici, che si potesse ridurre la criminalità e risparmiare soldi dei contribuenti semplicemente riprogrammando i "delinquenti comuni" con una sorta di condizionamento, una terapia del disgusto, che generi in loro un'associazione tra l'atto di violenza e il malessere, la nausea, o persino evocazioni di morte.
Come si vede il substrato di paura della criminalità urbana piccola e grande non era certo dissimile da quello che si può trovare tutt'ora (ricordo come sull'onda di alcuni crimini commessi nel 1999 si parlasse di "Far West" a Milano), e quindi forse ancora oggi potrebbe prendere piede l'idea di un condizionamento Skinneriano come via per l'estinzione del reato.
Ho parlato espressamente di "estinzione del reato" e non di risocializzazione in quanto, come magistralmente sottolineato da Kubrick, non vi è vera correzione nella "cura Ludovico" poiché non vi è presa di coscienza della colpa, nessuna interiorizzazione del sentimento di dolore che si è arrecato compiendo il gesto deviante.
Alex non compie il bene, non lo sceglie liberamente, egli semplicemente non provoca il male, il pensiero stesso crea in lui disgusto, vomito e dolore fisico. Ecco quindi sollevato il grande dilemma a cui siamo chiamati a rispondere: la cura Ludovico -per restare all'interno delle situazioni proposte nel film- o il carcere -se vogliamo invece adattare queste tematiche al mondo reale- sono davvero in grado non solo di estinguere il male, ma di convertire al bene?
5) Quale deve essere il ruolo delle istituzioni, degli operatori penitenziari, della polizia carceraria?
E' chiaro, quindi, quanto sia inutile in sé la mera funzione detentiva, come sia tangibile il rischio che questa funzione non lasci spazio a quella rieducativa. C'è pericolo che passi solo l'immagine di uno Stato oppressore che si vuole disfare di quei suoi figli che creano scandalo, quando in realtà essi sono solo le vittime dei loro stessi fantasmi e di un mondo che non ha dato loro altre vie per incanalare la rabbia se non una pistola od un coltello.
C'è bisogno di spazi: spazi fisici, per far fronte a delle carceri sovraffollate in cui non si può personalizzare il proprio ambiente di vita; spazi psicologici in cui criminologi, psicologi, assistenti sociali e educatori svolgano quelle funzioni che necessariamente sono venute meno nella mente del criminale: la funzione di controllo (che fino ad ora è la sola che viene assicurata dalla polizia carceraria), ma soprattutto la funzione di guida. Lo Stato, insomma, non deve più assumere l'immagine di un padre mutilato e assente, ma quella di una madre sufficientemente buona.
Ritengo possa essere di interesse un breve cenno, che esula un poco dall'analisi della devianza che il film ci propone, sulla sorte che il film ebbe nelle sale cinematografiche.
Spesso anche il più geniale e dotato degli autori non prevede le possibili conseguenze sociali della propria opera. Kubrick, infatti, pur essendo un meticoloso programmatore (e la sua abilità scacchistica ne fu la prova) non riuscì a prevedere gli effetti eversivi che il suo film avrebbe potuto indurre nel pubblico. Per la violenza mostrata il film venne classificato "X" (ossia vietato ai minori) negli USA, e in Inghilterra ne fu vietata la visione ai minori di diciotto anni.
Questi provvedimenti purtroppo non impedirono l'aumento di episodi di violenza (in alcuni casi anche efferati) che in qualche modo erano connessi alle suggestioni del film, da qui venne la decisione del regista stesso di ritirare la pellicola in patria e di impedirne la circolazione per molti anni. A causa di questi episodi il film è stato accusato di istigazione alla violenza, laddove la violenza stessa veniva invece mostrata solo per provocare il disgusto per l'operato scellerato del protagonista. A tal proposito sono molto interessanti le parole che il regista stesso usò per cercare di spiegare le sue scelte.
E' disponibile oggi la versione integrale del film così come venne originariamente montata: ammirato come capolavoro visionario di tecnica espressiva e narrativa, il film continua comunque ancora oggi a scandalizzare.
"Certamente uno dei problemi sociali più difficili da risolvere oggigiorno è come lo Stato possa mantenere il necessario grado di controllo sulla società senza divenire repressivo. [...] La domanda è: come è possibile, se ancora è possibile, realizzare un equilibrio? Io non conosco la risposta."
Stankey Kubrick (1972)
Forse una risposta definitiva non esiste.
A noi rimane comunque l'obbligo morale di cercala in ogni caso, per questa e tutte le altre domande che il film ci suscita. Poiché è solo attraverso il porsi delle domande che si può perseguire il disvelamento della Verità.