Con questa introduzione intendo spiegare quanto mi è servito tale corso in fatto di apertura mentale. Prima di iniziare queste lezioni, riguardo all'argomento trattato, avevo davvero una visione molto limitata, pensavo al mondo carcerario come ad una dimensione molto distante dalla mia, consideravo i carcerati come dei rozzi, degli ignoranti, persone a cui era giusto infliggere punizioni e a cui non era necessario recare alcun tipo di attenzione. Alla luce delle conoscenze acquisite, posso dire con ferma convinzione che il carcere:
1. non contiene solo persone rozze e ignoranti, in quanto avendo letto pensieri di alcuni detenuti, ho potuto constatare la profondità di quest'ultimi;
2. credo che il carcere non possa avere unicamente e principalmente una funzione punitiva, al contrario dovrebbe esplicare innanzitutto una funzione educativa.
Il gruppo della trasgressione è un chiaro esempio di come si possa importare nelle carceri il concetto di costruttività, di come si possa stimolare queste persone al ragionamento, al lavoro di gruppo, per un futuro reinserimento in società. Lasciare un delinquente in carcere solo con il proprio senso di colpa, secondo me non farebbe altro che aumentare la sua rabbia interiore e quindi il suo disagio sociale, indi per cui una volta fuori da tale struttura sarebbe molto più facile per lui incorrere nuovamente in qualche comportamento deviante.
Durante tale corso ho letto qualcosa a riguardo del povero Luciano Paolucci, padre del piccolo Lorenzo violentato e poi ucciso dal " mostro di Foligno " ( Luigi Chiatti ). Ebbene quest'uomo ha perdonato colui che gli ha rubato per sempre il bene più prezioso del mondo, quest'uomo si dice pronto ad un incontro con il carnefice di Lorenzo, quest'uomo, al contrario di Allegretti, è riuscito a reagire di fronte a tanto dolore. Pur non essendo uno psicologo, è riuscito a comprendere che, anche se niente gli potrà ridare suo figlio, molto si può ancora fare in fatto di prevenzione. Ha capito quanto inutile possa essere il carcere se concepito come fine a se stesso e quanto invece potrebbe essere utile, se utilizzato come fonte d'informazione riguardo, nel suo caso personale, al problema della pedofilia.
Parlare con queste persone, scoprire i loro lati più oscuri, cercare di chiarirli e utilizzarli come arma di difesa nei confronti di nuovi futuri nemici. Non riuscirò mai a capire dove possa aver trovato tanta forza d'animo e tanta lucidità mentale, potessi incontrarlo un giorno, credo proprio che glielo domanderei. È da persone così che tutti dovrebbero imparare, ma io per prima penso ( non ne sono sicura ) che non ce la farei mai a trovare il lume della ragione in una terribile vicenda quale è stata quella di Paolucci . La pedofilia è uno di quei reati che rientra nella sfera delle malattie mentali, ma non sono solo i malati di mente a compiere reati.
Chi compie un reato è comunque una persona con alle spalle una vita in qualche modo insoddisfacente e non è detto che questa insoddisfazione sia cosciente al diretto interessato.
La maggior parte delle volte chiedendo ad un ladro il motivo del suo atto lui risponderà: "
Avevo bisogno di soldi, desideravo quella macchina ma non potevo permettermela
" insomma riporterebbe tutto ad una sfera puramente materiale. Ma nascosti dietro queste affermazioni si celano ben altri motivi, e sono proprio quest'ultimi la molla che scatenano nell'individuo una sensazione di ingiustizia nei suoi confronti, come se l'intero mondo ce l'avesse con lui e da qui il desiderio di vendicarsi. Naturalmente la vendetta potrà avvenire tramite un furto, un pestaggio, un omicidio, non sarà uguale per tutti, in quanto non tutti sono uguali. Bene, io credo che il compito dello psicologo sia quello di seguire queste persone, di aiutarle a riportare ad un livello conscio ciò che li ha spinti al comportamento deviante, qualsiasi tipo di comportamento deviante, ma soprattutto di non utilizzare una semplice terapia a due. Penso che la terapia migliore per queste persone sia quella di gruppo che, come ho già detto in precedenza, possa stimolare la costruttività e che possa permettere un'interazione costante tra l'interno del carcere e l'esterno; un continuo confronto che possa stimolare in loro la capacità critica. Riempirli di domande interessanti, di modo che si possano sentire considerati a livello culturale. Insomma creare una " terapia " dinamica, interattiva, innovativa, che possa in qualche modo reinventare la considerazione funzionale del carcere che abbiamo ora:
Da unicamente punitiva ad educativa e nel contempo punitiva!!
Il gruppo della trasgressione è un esempio concreto di tale terapia e sono contenta di esserne venuta a conoscenza, in quanto mi ha permesso di riflettere su un mondo, quello carcerario, che prima vedevo troppo " distante " dal mio e nei confronti del quale ora ho una diversa considerazione. Non che qualcuno abbia modificato le mie profonde idee riguardo l'argomento, semplicemente prima, non pensandoci, non avevo idee a riguardo e le poche che avevo erano superficiali e prive di ragionamenti mirati. Da quando ho iniziato il corso mi è capitato parecchie volte di pensare all'argomento e ora che ho delle idee solide nei confronti di quest'ultimo, sarei pronta ad affrontare un discorso serio e completo riguardo il carcere e i suoi ospiti; prima, è giusto ammetterlo, non lo ero!
Cosa sarebbe mai il mondo senza regole? Spesse volte ho provato ad immaginarmi un mondo anarchico, indipendente da qualsiasi codice dove ognuno fosse realmente libero perché, è inutile illuderci, la libertà per ognuno di noi è semplice utopia; ebbene più ci pensavo e più capivo quanto fosse impossibile. Le regole o norme o codici, insomma qualsiasi cosa che inscriva il nostro comportamento in schemi predeterminati, fa parte ormai del nostro mondo. Le regole non sono solo quelle scritte nel codice civile o stradale, ma sono anche quelle più implicite tramandate da generazione in generazione, diverse ad esempio da cultura a cultura che più sinteticamente mi sentirei di definire " regole morali ". Secondo me quindi al mondo ci sono due categorie distinte di regole:
1) le regole esplicite
2) le regole implicite
Le prime sono quelle che se infrante portano a sicura punizione da parte degli organi competenti, le seconde sono quelle prettamente morali ( ad es non tradire ) regole molto flessibili a seconda della cultura d'appartenenza; insomma quelle che se infrante non sono punibili a livello giuridico-legale. L'insieme di queste regole limita estremamente la nostra libertà di scelta e tale condizione spesso viene considerata ingiusta ed oppressiva ed è proprio da questo sentimento di sentirsi un po' vittime della società che secondo me nascono i comportamenti devianti. La maggior parte di tali individui si sente vittima di chissà quale intoccabile ingiustizia, la quale li pone in diritto, se non in dovere, di compiere comportamenti devianti. All'interno del loro spazio personale, rubare, stuprare o uccidere in quel momento rappresenta un'azione in grado di poterli riscattare da una vita piena di ingiustizie. È importante quindi non soffermarsi allo strato superficiale, all'apparenza perché dietro ad un'azione semplice da interpretare come potrebbe essere quella di rubare, potrebbe nascondersi una domanda, una richiesta Attenzione con tutto ciò non intendo giustificare nessuno, semplicemente sto sostenendo una teoria di vita che dovrebbe essere applicata sempre: " Mai basarsi sulle apparenze ".
Ho trovato molto interessanti alcuni pensieri scritti da persone appartenenti al gruppo della trasgressione; per quanto concerne l'argomento delle regole Santino Stefanini è una rappresentazione concreta del mio pensiero. Egli scrive: "
ho avuto modo di esaminare la motivazione della mia trasgressione: il devastante effetto della separazione dei miei genitori in tenera età, il collegio e la divisione da mio fratello più giovane di due anni; le minime opportunità offerte da evanescenti centri sociali, la scarsità di proposte lavorative in grado di far manifestare il mio estro, un nuovo genitore del quale non ho mai sentito l'impronta di una guida sicura; quel continuo fuggire da casa per seguire la falsa libertà
" e ancora "
si inizia con piccoli furti per far notare la propria presenza, aggiungendo qualcosa di sempre più spregiudicato per dimostrare di essere più in gamba. Oggi sono convinto che se avessi avuto delle opportunità diverse, esprimendomi in un'attività confacente alle mie esigenze, avrei potuto trovare il modo per eccellere. I motivi della trasgressione possono essere molteplici, ma tutto si riduce alla mancanza di spazio, cioè alla mancanza di espressione
". Santino si è sicuramente sentito vittima della società e gli eventi che hanno caratterizzato la sua vita non gli danno completamente torto.
Dalle sue parole traspare un profondo senso d'insoddisfazione, di colpevolizzazione nei confronti di una società che non ha saputo dargli ciò di cui aveva bisogno. Certo è che a tantissime persone purtroppo capita di avere una vita triste e difficile e fortunatamente non tutte queste persone diventano delinquenti. Quello in cui credo profondamente è un dato di fatto: non tutti siamo uguali! Ed è proprio in base a ciò che le persone reagiscono diversamente a provocazioni e fatti, belli o brutti, della vita. È importante analizzare le motivazioni più profonde, quelle difficilmente riscontrabili ad un primo approccio, quelle che a volte semi-inconsciamente spingono una persona a compiere azioni sbagliate, perché sarà solo superando il " muro " del superficialità che possiamo sperare in un futuro diverso.
Ritengo la figura dello psicologo molto importante nelle carceri, ma il mio parere in questo caso si scontra con un'idea molto più solida e potente che il carcere debba avere fondamentalmente un'azione punitiva. Quest'idea giunge dallo stato e dall'opinione pubblica scarsamente sensibilizzata (come lo ero io prima di seguire questo corso) su tale argomento.
La sfida è un argomento che abbiamo a lungo trattato durante il corso. Innanzi tutto abbiamo chiarito il fatto che esistono varie tipologie di sfida riconducibili a due fondamentali categorie:
1) sfide distruttive
2) sfide costruttive
Il modo di concepire la sfida cambia anche a seconda dell'età, ad esempio quando si è adolescenti si tende maggiormente a voler sfidare l'autorità, che, nella maggior parte dei casi, è rappresentata dai genitori. Da adulti invece il concetto di sfida si evolve, i destinatari non sono più principalmente i genitori, bensì l'impalcatura della nostra società: le regole. In tutti i casi comunque lo sfidato è sempre qualcosa o qualcuno che si ritiene superiore a se stessi. Purtroppo esistono anche sfide avventate e soprattutto inutili ai fini di aumentare la propria autostima, tali sfide hanno come destinatario il fato (ad esempio girare di notte in macchina a fari spenti); esse non risultano costruttive in quanto non permettono a nessuno di confrontarsi con i propri limiti.
Secondo me l'origine di questi atti d'incoscienza è da ricercarsi nel non corretto superamento del processo d'illusione disillusione descritto in modo dettagliato da Winnocott. Tale processo prevede nella prima infanzia un senso di onnipotenza da parte del bambino, in quanto la madre rappresenta ai suoi occhi uno "strumento" completamente al suo servizio. Questo modo di sentirsi crea nel bambino un'illusione positiva in quanto gli permette di acquisire fiducia nei confronti del mondo. Infatti il bambino tramite questa fiducia percepisce il mondo non come un ostacolo insormontabile, bensì come un " trofeo " di facile conquista. Crescendo, però, il bambino aumenta la sua capacità spontanea d'interagire con il mondo ( es l'acquisizione del linguaggio ) e il senso di onnipotenza man mano perde la sua iniziale importanza. È proprio in questa fase che il comportamento della madre risulterà fondamentale per la corretta crescita del bambino; infatti più il bambino acquisirà gli strumenti necessari per interagire con il mondo, più la madre dovrà frustrarlo. Insomma è questo il periodo delle prime negazioni importanti e il bambino sarà in grado di affrontare tutto ciò grazie alla fiducia acquisita nella fase dell'illusione positiva. Quindi il bambino riuscirà ad abbandonare l'illusione d'onnipotenza grazie ad un giusto rapporto tra illusione e disillusione. Se ciò non dovesse accadere, questo senso di onnipotenza potrebbe riemergere in qualsiasi momento, soprattutto nel momento in cui si presentino fatti avversi. Il recupero di questo senso di onnipotenza tende a mostrare le regole come oppressive, ingiuste, prive di un significato logico ed è a causa di questa ideologia di base che la sfida risulterà distruttiva, anziché costruttiva. Infatti le componenti regressive spingeranno lo sfidante verso sfide in cui l'unica variante in gioco è il fato; mentre sono le componenti emancipative a dirigere una persona verso il lavoro imposto da una vera sfida costruttiva. Tale lavoro è in grado di far compiere un'evoluzione, in quanto se lo sfidato è sempre qualcosa o qualcuno considerato superiore, impegnandosi al massimo al fine di vincere la sfida può accadere proprio di vincerla. In tal caso lo sfidante avrà compiuto un'evoluzione: sarà diventato più forte dello sfidato! È quindi logico dedurre che chi compie delle sfide contro il fato non si confronta con i suoi limiti, bensì con la sua fortuna!
Personalmente amo le sfide, quelle costruttive, quelle che permettono di aumentare la mia autostima, di reagire di fronte alle difficoltà e di affrontarle al meglio credendo nelle mie capacità. Condivido le sfide che simpaticamente potrei definire alla "Davide e Golia ", nelle quali il più debole sfida il più forte in onore di una giusta causa ed infine risulta vincitore. La storia riporta molte sfide di questo genere, prima fra tutte quella di un uomo di nome Gesù che sfidò l'intero sistema di allora e, come possiamo constatare, gli anni successivi alla sua morte (anche se un pò in ritardo) gli hanno regalato una dovuta vittoria, facendo sì che il Cristianesimo sia oggi la religione dominante nella nostra parte di mondo.
Un'altra sfida storica di questo genere fu quella dei Vietnamiti contro un popolo considerato militarmente imbattibile: l'America e che invece durante quella guerra fu duramente sconfitta. Per avvicinarsi all'era contemporanea potrei citare la sfida del popolo gay che da anni si batte contro i pregiudizi della gente e che ora, finalmente, ha raggiunto risultati soddisfacenti in quasi tutto il mondo.
Insomma questi sono tutti esempi di come una sfida possa risultare costruttiva. Purtroppo sono costretta anche a riportare esempi di sfide distruttive per sé e per gli altri. In questo periodo la sfida più clamorosa è stata posta nei confronti dello stato più potente del mondo da parte di uno sceicco arabo: Osama Bin Laden. Secondo il suo punto di vista tale sfida è stata vinta, in quanto l'impresa di colpire il cuore dell'America nonché due dei simboli principali di tale nazione, è riuscita; peccato che tale pseudo vittoria sia costata la vita a migliaia di cittadini americani! Secondo me la causa per cui quest'uomo combatte non è sbagliata, ma difendendola dirottando due aerei in mezzo ad una città come New York, non fa che rendere negativa tale causa dinnanzi all'opinione pubblica. Mi viene da pensare, e non solo a me credo, che quest'uomo attuando tale impresa abbia accantonato le sue idee rivoluzionarie, facendo posto invece ad un sentimento di pura vendetta nei confronti della grande potenza americana con i risultati che tutti purtroppo conosciamo.
Un'altra sfida con sfondo distruttivo potrebbe essere quella dei due baby-killer di Novi Ligure Erika ed Omar. Questo secondo me è un chiaro esempio di come il processo di illusione disillusione di cui parlavo in precedenza, non abbia funzionato. La prima (Erika) regredendo al vecchio, ma mai tramontato, senso di onnipotenza, vedeva la madre e soprattutto le regole imposte da quest'ultima, come dei nemici da combattere; delle entità sopraelevate e soprattutto più potenti di lei, quindi da sfidare! Ci risiamo, da parte sua la sfida è stata vinta ( la ragazza ha dichiarato di non essere nemmeno pentita ) ma come si può avere così poca fiducia in sé stessi da pensare che l'unico modo per far valere le proprie idee sia quello di eliminare chi le contraddice!?! Se tutti la pensassero così la poplazione mondiale sarebbe dimezzata! I due ragazzi potevano benissimo attuare tale sfida in mille altri modi, parlando, urlando cercando un accordo comune e invece anche in questo caso la sfida è risultata distruttiva sia per le due povere vittime che per i due " poveri " adolescenti condannati, giustamente, a 16 anni di carcere lei e 14 lui.
Pochi giorni fa il nostro professore, come promesso, ci ha accompagnato al carcere minorile Beccaria di Milano. Naturalmente non ci è stato consentito visitare le celle o i detenuti ( considerazione più che ovvia ), l'incontro si è sviluppato in due parti fondamentali:
1) discussione con la direttrice della struttura ( Giovanna Fratantonio )
2) simulazione di un processo
Durante la prima parte la dottoressa Fratantonio ha cercato di spiegarci al meglio le attività svolte dai detenuti, le regole interne, la percentuale di presenze maschili e femminili, italiane o straniere e quant'altro volessimo sapere. Il suo discorso mi ha permesso di capire ancor meglio quanto sia necessaria un'azione rieducativa in carcere, in quanto la percentuale di successo - non mi ricordo di preciso quanto fosse - corrisponde sicuramente a un numero più alto di quello che immaginavo.
Al Beccaria esistono gruppi di lavoro, orari e regole ben precise da rispettare rigidamente per non incorrere in punizioni davvero poco piacevoli. Questo è sicuramente un modo per abituare i detenuti al rispetto delle regole, alla vita di gruppo, alla comprensione dell'importanza di un corretto inserimento nella società. In questi giorni siamo stati travolti da una marea di opinioni sul caso " Erika & Omar ", opinioni contrastanti, pungenti, cattive a volte rassegnate. " Ci vorrebbe l'ergastolo " e di contro " Non possiamo dare l'ergastolo a dei ragazzi nel pieno della loro adolescenza e quindi clinicamente recuperabili "; o ancora " Sai quanto diventeranno quei sedici anni? Cinque o sei al massimo e poi quella lì è di nuovo fuori " e in opposizione:
"Bisognerà vedere come si comporterà la ragazza durante il programma di recupero, nel momento in cui verrà rilasciata sarà perché considerata completamente rimessa ". Insomma le opinioni sono contrastanti e fondamentalmente si dividono in due categorie distinte:
1) chi vede il carcere come elemento unicamente punitivo
2) chi vede il carcere come elemento unicamente educativo
Per quanto mi riguarda penso che la pena inflitta ai ragazzi sia corretta purché venga rispettata, non condivido ad esempio la diminuzione di pena per buona condotta, se Erika è stata condannata a sedici anni è giusto che passi sedici anni in una struttura adeguata. Naturalmente nell'arco di questo tempo verrà professionalmente seguita, nello scopo di prepararla ad un perfetto, o quasi, reinserimento in società.
IL CARCERE OLTRE AD UN VALORE PUNITIVO NE HA ANCHE UNO EDUCATIVO, NEL CONTEMPO, OLTRE AD UN VALORE EDUCATIVO NE HA ANCHE UNO PUNITIVO!!
La seconda parte dell'incontro ci ha chiarito le idee nei confronti di come si sviluppi un processo penale. Èstato divertente in quanto i vari avvocati, periti, testimoni erano rappresentati proprio da noi e niente di tutto ciò era stato precedentemente preparato. Nel complesso posso definire l'incontro interessante, istruttivo e perché no, DIVERTENTE!
Per definire la parola raptus, si potrebbe dire che esso corrisponde a un momento della vita di una persona in cui essa agisce diversamente dal normale e che, a distanza di tempo, la persona interessata non saprà mai spiegarsi. Molti sono i dibattiti riguardo a tale argomento soprattutto perché a volte il raptus porta a compiere azioni tremende contro ogni etica e soprattutto contro la giustizia.
Dico soprattutto non perché ritengo che la giustizia sia più importante dell'etica, ma perché è proprio in ambito giudiziario che sorgono svariati problemi riguardo questa tipologia di crimine. La domanda è " una persona che ad esempio compie un omicidio in preda ad un raptus è da considerarsi pienamente colpevole e soprattutto in quel momento capace di intendere e volere? ".
Tale quesito è secondo me molto interessante ed in egual modo di difficile risposta. Purtroppo i crimini compiuti in preda ad un raptus, come dicevo prima, sono solitamente crimini molto violenti, efferati e soprattutto inspiegabili, senza movente né alcun tipo di premeditazione. L'opinione pubblica non sarebbe mai disposta a comprendere una madre assassina in quanto vittima di un raptus, né tanto meno una figlia assassina; questo perché agli occhi della gente la parola raptus non ha una spiegazione logica né scientifica è un fenomeno che avviene all'improvviso e nei confronti del quale, come altri fenomeni senza spiegazioni logiche tipo le apparizioni di oggetti volanti non identificati o della Madonna o di quant'altro, la gente è scettica. Il fatto che gli avvocati, ogni qualvolta accade che il criminale (assassino) confessi, giochino sempre e comunque la " carta " dell'infermità mentale o della non capacità di intendere e volere, ha fatto sì che le persone non credessero più alla malattia mentale come possibile causa di omicidi o altri crimini, bensì come uno spietato marchingegno utilizzato semplicemente per vincere una causa. In realtà, pur essendo difficile comprendere crimini di esasperata violenza, come ad esempio potrebbe essere quello verificatosi pochi giorni fa nei confronti di un bambino di 3 anni massacrato con 17 colpi sul cranio e sicuramente da parte di una persona in preda ad un raptus, è necessario secondo me non abbandonare al suo destino la persona interessata. Se veramente l'assassino del piccolo Samuele ha agito in preda ad un raptus, non appena la lucidità gli permetterà di rivivere quei momenti, si sentirà schiacciare dal senso di colpa ed alla domanda:
" Perché l'hai fatto? " mai riuscirà a dare una risposta. Per questo penso che qualcuno disposto ad aiutare queste persone debba essere sempre presente in una struttura carceraria, perché in fin dei conti che uno ci creda o no tutti noi siamo potenziali vittime di quel veloce, fulmineo attimo di follia.
Ho da poco letto l'articolo del dott. Andreoli riguardo il senso di colpa e l'ho trovato molto interessante in quanto scrive parecchie cose che condivido. Innanzitutto il fatto che oggi come oggi oggetti del senso di colpa sono il non aver rispettato la dieta e l'essere quindi aumentate di peso; azioni quali tradire o rubare non generano ormai più alcun senso di colpa, anzi a volte tradire, come giustamente scrive il dott. Andreoli, rappresenta un'ottima medicina per la coppia. Ci sono persone quindi che poche volte provano sensi di colpa, spinti da un pensiero comune che la colpa sia una minaccia per la propria autostima e ci sono persone invece che sottoposte ad un'educazione autoritaria impostata sull'esasperazione del senso di colpa, giungono ad assumere comportamenti ossessivi, utilizzando l'ossessività come strumento di difesa nei confronti della colpa. Tali individui cercano di ridurre al minimo le azioni proprio per diminuire le possibilità di incorrere in qualche " peccato ".
Anche la Chiesa ha contribuito nel creare " falsi " sensi di colpa (dico falsi esprimendo un mio parere personale in quanto non credente nell'istituzione ecclesiastica, per questo aggiungo le virgolette alla parola ).
Ha intimorito i giovani nei confronti della sessualità, trasformata dalla Chiesa in un tabù da vivere con mille dubbi e paure, inserendola, se non vissuta come essa comanda, tra i vari peccati quali uccidere, rubare, o tradire. Mi sembra logico pensare che tale visione sia stata eclissata da quella della psicoterapia, la quale propone una sessualità " libera ", nel senso che tutti possano avere la possibilità di viverla come meglio credono, a partire dalla masturbazione fino ad arrivare ai rapporti prematrimoniali.
Anche quando parla del " senso di colpa vuoto " condivido in pieno; la nostra società è improntata sull'IO, cosicché fare male a qualcuno o evitare volontariamente di vedere un uomo che stupra una donna risultano comportamenti normali, che non causano più alcun senso di colpa. Siamo tutti in balia di un individualismo sfrenato solo che ne siamo inconsapevoli perché ormai questa è la normalità. È giusto che la società sappia porre degli imperativi per non incorrere come scrive il dott. Andreoli in un permissivismo del disimpegno, basato sul fatto che è meno faticoso abbandonare che educare, in quanto è proprio questo uno dei compiti più difficili del mondo.
La parte finale di tale articolo non fa che aumentare la stima che già provo nei confronti dell'autore, di spiccata sensibilità ed intelligenza secondo me si è dimostrato il riferimento a tutti quei giovani che hanno elaborato, in quanto educati ad esso, un senso di colpa. Non credo siano pochi, anzi credo che siano la maggioranza, ma chissà perché, quasi sempre nei dibattiti o nei salotti televisivi questi giovani vengono ignorati incalzando in discorsi altamente generalizzati sul fatto che " il mondo giovanile è allo sbando, i giovani non hanno valori ". Quindi mi rivolgo a coloro che parlano così, dicendo che i giovani vivono in una società che inevitabilmente li plasma e li influenza e che tale società è stata creata proprio da voi cari signori, magari se ci pensavate prima .
Purtroppo ora la società in cui ci ritroviamo a vivere grazie ai vostri errori passati offre più cose cattive che cose buone e per un giovane è davvero difficile sfuggire a tutte le provocazioni, le tentazioni e i pericoli che tale società gli offre e tutto questo ripeto sta avvenendo grazie a voi, proprio voi che ora state a fare i moralisti e i santi e che più che parlare non siete capaci di fare. Ora come ora, al mondo non c'è bisogno di bravi oratori come ai tempi dell'antica Roma, c'è bisogno piuttosto di gente capace di rimboccarsi le maniche ed agire, e credo che queste siano caratteristiche che appartengono molto di più al mondo giovanile che a voi, passivi governatori, politici e moralisti!