In panchina |
Granit Gjermeni | 31-01-2011 |
Lo chiamerei anche il virus delle illusioni o delle gioie mai vissute, perché credo che chi ne rimane contagiato vive nell’illusione, non sta bene con se stesso e non si fida di nessuno. Chi ha contratto il virus è uno che dopo la rapina si nasconde da tutti quelli che non vivono della sua stessa illusione; è un drogato che sta bene solo con l'illusione che la sostanza gli offre; è un truffatore che torna a casa e, guardando negli occhi la propria madre, mente.
Non può essere soddisfatto chi indossa una maschera per affrontare la vita; non può essere felice chi è stato infettato dall'illusione di vivere, chi non ha mai goduto del piacere di essere uomo negli occhi degli altri, chi non ha mai creato, progettato, chi non ha fatto altro che soddisfare le proprie esigenze, chi il rispetto lo pretendeva senza guadagnarselo.
Allora, cos'è questo virus che non guarda in faccia nessuno e infetta il nostro essere, rendendoci così deboli, indifesi, imprevedibili e pericolosi? A cosa serve la scienza, la tecnologia, tutto il sapere di quei grandi uomini che parlano di speranze e futuri migliori?
Noi siamo uomini incerti e molto spesso abbiamo bisogno di conferme, vogliamo far parte di qualcosa, vogliamo dimostrare che ci siamo, vogliamo essere accettati, considerati, ascoltati.
E' forse l'incapacità di riuscire in questa impresa che ci rende così imprevedibili e pericolosi o è la mancanza di un progetto di cui fare parte che ci fa sentire inutili e senza un futuro?
Io credo che un progetto sia molto importante per la vita di una persona perché sapere dove si va motiva a superare gli ostacoli, le difficoltà e i limiti che incontriamo, cioè quello che ci fa crescere. Vivere è come un gioco con delle regole, e solo chi rispetta le regole può portare a termine la partita, altrimenti viene espulso, come me.
E ora seduto in panchina sto a pensare alla mia malattia, a questo virus che è stato in agguato per tanto tempo e che alla fine ha avuto la meglio su di me.