Gioco col lego

Antonio Tango

07-02-2011

Ho 47 anni, di cui 19 passati in carcere e altri 18 da fare. Visto che mi trovo in queste condizioni, posso dire che ho vissuto gran parte della mia vita ad alimentare il “virus” dell’onnipotenza, ai danni di me stesso e poi degli altri.

Quando avevo 8 anni, ho subito un trauma psicologico di bullismo, la frustrazione e la rabbia dilagarono in me. Così mi imposi che non sarei più stato vittima di nessuno, ma che gli altri sarebbero stati le mie vittime. Dissi a me stesso: io sono il più forte, non ho bisogno di niente e di nessuno.

Così da allora tutte le mie scelte si sono basate su questo principio. Tutte le mie scelte erano coerenti con la strada che avevo intrapreso, cioè quella di crescere in fretta, di arrivare subito alla meta, di usare qualsiasi mezzo, anche a discapito degli altri, l'importante era arrivarci subito.

Questa è stata per moltissimi anni la mia verità, una delle tante false verità che ho raccontato a me stesso per avvalorare quelle fantasie che mi permettevano di sentirmi appagato e realizzato. Ma il tutto era frivolo, in quanto le “gioie” svanivano con la stessa velocità con cui me le ero procurate.

Così ogni volta dovevo per forza trovare un surrogato, al solo scopo di sentirmi bene, ma il vuoto che avevo dentro non si riempiva mai. L'inquietudine, la frustrazione, il malessere e la fragilità aumentavano, mentre la fiducia di me stesso diminuiva. Ero talmente ubriaco e succube di quel vuoto che ormai non riuscivo più a contrastarlo.

Parlavo fra me e me come se fossi stato due persone. Una parte chiedeva all’altra: “Perché non mi dai retta, non mi ascolti? Perché non mi vuoi bene, perché dici che non valgo niente? Perché non posso fare quello che voglio mentre tu lo fai?”

L’altra rispondeva: “Ora faccio di testa mia, andate tutti a quel paese, non ho bisogno di nessuno”.

Così, negli anni, ho ingabbiato tutte le mie domande… e nel frattempo, senza rendermene conto, mettevo in gabbia quella parte di me costruttiva e reale.

Questi sono stati gli anni che ho vissuto… quando le mie certezze non davano il minimo spazio al dubbio, quando in me prevaleva esclusivamente l’idea di poter fare tutto quello che volevo. Non esistevano altri valori e altri obiettivi oltre a quelli delle mie fantasie irreali e delle mie certezze assolute: “Sono un alieno, io ho una forza che gli altri non hanno, il mondo è mio”.

Non molto tempo fa, grazie all'aiuto di un altro, non un altro qualsiasi ma uno che ha attirato la mia attenzione, ho cominciato a parlare con lui.

Lo facevo solo per gioco, per curiosità, non lo ritenevo un mio simile.

Ma giocando al confronto, un po’ involontariamente e un po' volontariamente, ho aperto la gabbia a qualcuna delle mie vecchie domande, anche se facevo molta attenzione a essere io a dirigere il gioco, non lui.

Ma non è stato così perché, una volta aperta la gabbia, tutte quelle domande che non avevo mai fatto ad altri scapparono, sfuggendo al mio controllo. Le mie certezze assolute non riuscivano più a stare in piedi mentre le domande andavano ovunque come scimmie curiose e irrequiete. Dentro la gabbia sono rimasto solo io, frastornato dai dubbi, dall'incertezza e dalla paura.

 

Antonio Tango, Foto di Alessio Ferraro

 

Avevo paura di essere giudicato e di potermi giudicare in maniera diversa da come avevo fatto in passato. Ora incominciavo ad avere una paura di nullità, una sensazione di spreco.

Il sospetto… la coscienza che fino a quel momento non avevo vissuto realmente la mia vita mi faceva sentire come un tavolo da ping-pong fra due giocatori che con le racchette… non si ribattevano la palla, bensì le colpe di questo o di quello: Hai perso, ho vinto io. No, tu hai perso e io ho vinto.

Questo confronto era solo con me stesso, i giocatori sembravano due, ma ero solo io. E io non potevo confrontarmi con l'altro, anche se lo vedevo in modo diverso da come lo vedevo prima, non ero ancora pronto a fidarmi di lui.

Oggi non gioco più all'alieno che conquista il mondo e non mi sento un tavolo da ping-pong. Da un po’ di tempo sto imparando a giocare con l’altro. Come dice il dott. Aparo, sto imparando a giocare con il lego perché ho capito che solo il dialogo e il confronto con l'altro possono portarmi verso la costruzione di qualcosa di positivo. Ora riconosco l'altro come un alleato, non lo vedo più come un nemico o un mezzo per arrivare subito al soddisfacimento del mio vuoto.

Anch'io sono l'altro, lo è anche quella parte di me che avevo messo in gabbia.

Oggi penso di essere riuscito a dare un nome a quella sensazione di vuoto: mi mancava l'accettazione di me stesso, mi mancava la capacità di tollerare che sono fatto di pregi e difetti, mi mancava la fiducia nel fatto che anche io potevo crescere.

 

Delia Russo, foto di Alessio Ferraro

 

Non voglio più giocare all'alieno che conquista il mondo o a ping-pong, voglio giocare solo con i lego, e voglio giocare solo con chi come me è disposto a giocare con i lego. Solo così posso contrastare l'avanzata del virus. Solo così posso realmente essere tutt'uno con me stesso e con gli altri.