La danza, un dialogo con la forza di gravità

 

Antonella Cuppari

01-04-2005  

Lo specchio, gli occhi dei miei insegnanti, il pubblico, le mie compagne di corso: ogni cosa per me ha costituito a volte un limite, a volte una risorsa, mi ha favorito nel miglioramento o nell’annientamento, è stata utilizzata da me per gratificarmi o giudicarmi e umiliarmi.

Conosco bene la rabbia e l’impotenza che si provano di fronte ad un limite realmente insuperabile, ma nella danza i miei limiti non riguardano né le mie caratteristiche fisiche, né le mie imperfezioni. I miei confini beffardi si trovano altrove, sono già nel pensiero, sono appiccicati allo specchio, all’ago della bilancia. I miei limiti invalicabili non guardano le mie capacità, le cose belle di me, conoscono solo la distanza che me ne separa, una distanza che suona come una condanna.

Mia madre mi fece iniziare danza per rendermi più graziosa, meno pesante; per molti anni non ho sopportato quell’appuntamento bisettimanale con il body e le “mezze punte”. Col tempo mi sono appropriata delle vecchie ragioni per cui mia madre mi aveva avvicinato alla danza e le ho stravolte: volevo essere leggera e magra quando danzavo.

Quando provavo il costume di scena davanti allo specchio, spesso mi sentivo ridicola, lontana dal mio ideale, tanto da sposare il sacrificio e promettergli fedeltà, tanto da mettere a repentaglio la mia serenità, la mia vita… da non mangiare.

Per anni ho danzato fuori da me, dalle sensazioni e dalle emozioni che mi avrebbero potuto darmi la musica e il movimento. Spesso, mentre danzavo, il mio giudizio si sostituiva a quello della mia insegnante, a quello del pubblico. Danzavo e misuravo me stessa e gli altri: ogni tanto mi sentivo bella, aggraziata, sulla rotta giusta, ma al minimo intoppo, a ogni piccolo cedimento, tornavo a giudicarmi inadeguata, ridicola, fallita. Tante volte ho implorato pietà con me stessa: dolori, lividi, strappi muscolari… ho messo a repentaglio il mio corpo per vedere quanto poteva reggere e sostenere, mi dicevo che gli eroi affrontano prove inaudite per raggiungere le loro mete.

Cos’è la danza per me? Dove stanno il benessere e la soddisfazione? Dove stanno l’arte e le emozioni che può dare il movimento? La danza è sì fatica, allenamento, determinazione, ma è anche gioia e comunicazione. Da un anno e mezzo ho iniziato la danza contemporanea, “metodo release”.  Metodo del rilascio del corpo? Come ci sta un’eroina in tutto questo? Che farmene dei miei muscoli, dei miei lividi? “Senti il tuo peso, sfrutta il contatto con la terra e la forza di gravità per fluidificare il movimento, per trarre la spinta per saltare… apri un dialogo, una comunicazione tra te e la terra… è da quella comunicazione che nasce la tua danza!”

Con la terra spesso litigo, non mi lascio andare e così torno sulla vecchia rotta dove, se non hai muscoli, sei destinato ad affondare. Il lavoro con il pavimento, il metodo di sfruttare il proprio peso per potenziare i salti e fluidificare i movimenti, suscitano in me grosse inquietudini e domande.

Non sono né mai sarò una ballerina classica, di quelle che hanno linee eteree, colli da cigno e gambe affusolate. Ho sempre vissuto questa consapevolezza come un limite che mi ha portato spesso a disprezzarmi. Certo è che la tenacia con cui ho tentato di negare questo limite mi ha portato a un miglioramento tecnico continuo e a dei traguardi. Ma l’odio e la sofferenza che li accompagnavano raramente mi hanno permesso di goderne.

Mi è difficile e forse non è nei miei desideri abbandonare del tutto il sacrificio, il piacere di potenziare le mie capacità e di intrattenermi con i miei lividi e i miei dolori muscolari. Però sento che la meta sta progressivamente cambiando. Sono più frequenti i momenti in cui riesco a godere della danza; il mio sguardo pungente è ancora in agguato, ma sempre più godo delle sensazioni che il dialogo con la terra e con la musica mi dà. Mi giudico, mi arrabbio, provo invidia se qualcuna è più brava di me, se sono contratta o se non riesco a fare bene, ma a poco a poco il giudizio su me stessa sta perdendo il potere assoluto di chiudermi dietro le sbarre.