| Scambio di mail |
A beneficio di chi, detenuto o studente, cerca di valutare cosa comporti partecipare dall’interno alle attività del gruppo, pubblichiamo un significativo scambio e-mail fra una studentessa di giurisprudenza e Livia Nascimben, membro del gruppo della trasgressione da quando, circa 4 anni fa, c’è stata la fusione fra il gruppo dei detenuti e quello degli studenti.
Aparo
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Ciao Livia!
Scusa se ti rispondo solo ora, ma avevo e ho bisogno di riflettere sulla vostra proposta di entrare a far parte del gruppo.
Cerco di spiegarti il senso della mia esitazione. Da un lato, sento un forte impulso a rispondere affermativamente, dall'altro intuisco che, se dovessi decidere di partecipare al gruppo, avrei la grande responsabilità di mettermi in gioco, pienamente e sul serio.
Io ho fatto altre esperienze in carcere come volontaria, ma questa volta sento che è diverso. Ho capito che la dinamica del gruppo è diversa da ciò che facevo in carcere; dai vostri scritti e dalla vostra attività risulta chiaro che al gruppo non c'è solo l'incontro con l'altro, ma anche e soprattutto l'incontro con quella parte di noi stessi e della nostra storia che facciamo fatica ad ascoltare e a condividere con altri.
Non so quanto sia chiaro ciò che ho scritto, però sono queste le ragioni che mi suggeriscono di prendere un po’ di tempo prima di darvi una risposta. Spero potremo parlarne anche di persona.
Un abbraccio forte, a martedì!
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Quando, al seminario di Aparo, l'ultimo giorno hai fatto il tuo intervento, dalle tue parole traspariva che il tuo interesse per il carcere non è nato per caso. Quella volta sono venuta a chiederti l'indirizzo e-mail proprio perché avevo sentito te come un'alleata preziosa per il gruppo. Per lo stesso motivo, al convegno in carcere ti ho chiesto di intervenire: immaginavo che, qualunque cosa avessi detto, le tue parole sarebbero arrivate vitali e autentiche, e così è stato.
Ho cominciato a seguire il corso di Aparo all'università un po' per caso, le sue lezioni si incastravano bene con altri due corsi che seguivo, ma fin da subito ho capito che nel carcere, la cui realtà avevo sempre ignorato, avrei potuto trovare qualcosa di molto prezioso per me. Quel corso si è trasformato subito in qualcosa che andava oltre gli esami.
Ai tempi vivevo un momento della mia vita in cui avevo un profondo bisogno di comunicare e di essere vista, ormai erano due anni che ero bulimica, forse ero già sulla strada per uscire da quell'inferno, sicuramente essere valorizzata e sentire di contribuire ad un progetto ha fatto il resto.
Quando noi studenti abbiamo iniziato a partecipare regolarmente agli incontri interni del gruppo io non parlavo, non intervenivo mai, nemmeno se mi veniva data la parola, stavo zitta, la mia mente si svuotava, ero completamente bloccata dalle mie paure e dalle mie insicurezze, poi tornavo a casa e mi mettevo a scrivere e a contribuire al lavoro comune. Per tantissimo tempo sono andata avanti così, con le mie scene mute agli incontri in carcere e i miei contributi scritti, riparata dallo schermo del computer.
Ho dato tanto al gruppo ma ho anche preso tanto e sono estremamente grata per quanto Aparo e il suo diabolico progetto mi hanno fatto e mi stanno facendo crescere. Resto timida, con mille limiti da lavorare, però ora posso anche vivere il piacere di intervenire ad un convegno con il microfono in mano.
Hai ragione, al gruppo, in un modo o nell'altro, ognuno parla di sé, si condividono molti aspetti di sé profondi, si vivono con gli altri le difficoltà e si condividono i successi personali di ognuno e collettivi.
Potere vedere negli altri, soprattutto in chi è clamorosamente caduto lungo il proprio percorso, dentro o fuori dalle mura, i limiti, le paure, le difficoltà, le emozioni tenute nascoste, le aspirazioni, aiuta a rendersi conto delle proprie prigioni e dei propri desideri e a prendersene cura. Gli scambi sono reciproci.
In carcere, in quell'ambiente strano che è il gruppo, ho costruito molte relazioni intense; ad alcuni detenuti voglio proprio bene e mi sento voluta bene; il reato passa in secondo piano, sono i legami che contano e che danno lo stimolo a riprendersi la vita.
Ora quando in tv sento parlare di carcere, di delinquenti, di pene o quando parlo di ciò che gira attorno alla realtà carceraria con gente che al carcere non si è mai affacciata, come me fino a 4 anni fa, ho difficoltà a sentirmi in sintonia con quanto sento dire, mi sento confusa, non so bene cosa penso.
Prima era più facile "hai sbagliato, paghi e se ti impicchi fai un piacere a tutti"; ora è difficile prendere posizione; capisco che il reato sia male, ma sento anche che non si può ignorare che i comportamenti devianti parlano di ognuno di noi.
Sentiti libera di prenderti tutto il tempo che vuoi per riflettere e decidere se partecipare al gruppo da vicino o interagirci un po' più da lontano, in ogni caso saremo contenti di lavorare insieme e per il gruppo sarà comunque prezioso. Immagino che la tua non sia una decisione facile da prendere, ma non preoccuparti, le cose vengono col tempo… e una certa dose di fiducia.
Ora ti saluto, grazie della condivisione.
Livia