Sulla strada

Sofia Lorefice

18-06-2010  

Ade, il re degli inferi, manda Thanatos, la Morte, per punire Sisifo. Questi però fa ubriacare il dio della Morte e lo imprigiona. In assenza di Thanatos, nessun essere sulla terra può più morire. L’ordine dinamico del mondo regolato dal ciclo vita-morte-vita s’interrompe. Diviene eterno e statico: uno stato immobile di vita eterna.

Dopo aver incaternato Tanatos, Sisifo esce dalla prigione e osserva il mondo eterno attorno a lui. I mortali non sono più tali. Non sono più esseri viventi, ma esseri eternamente uguali a se stessi. Mentre passeggia per le vie di Corinto riflettendo sul nuovo destino dell’umanità liberata dalla morte, Sisifo incontra uno straniero di nome Martino. Fanno un pezzo di strada insieme discutendo del nuovo ordine del mondo.

 

Sisifo: buongiorno straniero

Martino: buongiorno al re di Corinto

Sisifo: c’è qualcosa di nuovo nell’aria

Martino: direi piuttosto che manca qualcosa

Sisifo: ti manca forse la morte?

Martino: sì, mi manca

Sisifo: tu sei un pazzo e un ingrato

Martino: io sono per la morte

Sisifo: invece dovresti essere per la vita e godere di questo nuovo stato di vita eterna

Martino: come è ingenuo il re di Corinto!

Sisifo: che vuoi dire straniero?

Martino: essendo per la morte, io sono per la vita assai più di quanto lo siate voi

Sisifo: spiegati

Martino: l’esistenza è autentica quando è pervasa dall’angoscia che scaturisce dal prendere coscienza dei nostri limiti e della nostra finitudine. E la morte è il limite supremo, il più sacro che abbiamo.

Sisifo: se la morte è un limite, come può un limite essere la misura della vita autentica?

Martino: la morte ha una valenza altamente positiva perché rende autentiche le scelte e, con esse, la vita. Cosa che non può avvenire in una prospettiva eterna.

Sisifo: e perché mai non potrebbe avvenire?

Martino: La morte è per l'essere vivente la possibilità di non-poter-più-esserci. L’angoscia che nasce da questo sentimento, non è vile paura come credono alcuni, ma è la spinta vitale che porta il mortale a fare i conti con se stesso, a prendere coscienza delle proprie possibilità e apre la mente alla conoscenza. A crescere insomma! Senza la coscienza del limite non si ambirebbe alla conoscenza profonda di se stessi, ma si vivrebbe tutt’al più per curiosità. Una noia mortale! Che me ne faccio dell’eternità se non posso fare un solo passo in avanti né indietro nel divenire delle cose? L’uomo è un animale prevalentemente creatore, destinato a tendere coscientemente verso uno scopo e a esercitare l’arte dell’ingegneria, cioè ad aprirsi continuamente e instancabilmente una strada verso una direzione qualsiasi.

Sisifo: quanta smania di andare, fare strada, camminare… quanta fatica che volete fare straniero. Chi te lo fa fare e soprattutto, per arrivare dove?

Martino: il punto essenziale non consiste nel dove va la strada, bensì nel semplice fatto che va, e nel fatto che il bambino non deve trascurare l’arte dell’ingegnere e non deve abbandonarsi all’ozio, che come si sa è padre di tutti vizi. Il limite non è un freno ma una locomotiva. Senza la morte la vita non sarebbe vita ma uno stato eterno di ozio dell’ingegno e della coscienza.

Sisifo: il tuo discorso, straniero, è bizzarro ma interessante. Ma se l’uomo è tale proprio perché spinto alla crescita dal desiderio di superare il limite, come mai gli piace fino alla passione anche la distruzione e il caos? Forse gli piacciono a tal punto la distruzione e il caos, proprio per un’istintiva paura di raggiungere lo scopo e di completare la costruzione dell’edificio?

Martino: per certi versi l’uomo non è che un giocatore di scacchi, attratto dal gioco più che dallo scacco al re avversario. E chissà, forse l’unico fine a cui tende l’umanità è la continuità del processo che consiste nel procedere verso una meta. Forse questo è il desiderio, più che la meta stessa, forse questa è la vita. Lo scacco, si capisce, nella fase finale della partita, può essere soltanto due più due fa quattro, e cioè una formula. Ma il due più due fa quattro, caro il mio straniero, non è la vita, ma il principio della morte. Il limite, le regole, la necessità. L’uomo ha sempre avuto paura del due più due fa quattro. Ammettiamo che l’uomo altro non faccia se non inseguire questa formula, che solchi gli oceani e superi le montagne in questa ricerca. Eppure, di trovarla, trovarla sul serio, in un certo senso ha paura. E ha paura perché egli sente che quando l'avrà trovata non ci sarà più nulla da cercare.

Sisifo: insomma, gli piace il fine che si propone, ma raggiungerlo non gli piace tanto. Ma questo è ridicolo.

Martino: no sire, non è ridicolo, è la vita.

Sisifo: no, straniero, questa è la morte.

Martino: è proprio questo il punto: la vita è per la morte. Qui sta l’enigma dei viventi e dei mortali, che poi sono la stessa cosa.

Sisifo: io credo che senza questo enigma, come lo chiami tu, l’uomo sarebbe più felice, sereno e prospero.

Martino: Non potrebbe darsi che all’uomo non piaccia tanto la prosperità? Non potrebbe darsi che abbia bisogno della sofferenza? Non potrebbe darsi che la sofferenza sia per lui vantaggiosa tanto quanto la prosperità? È un fatto che all’uomo talvolta piace terribilmente la sofferenza, gli piace alla follia. Sarà bene o sarà male. Non mi interessa. Io qui, in realtà, non prendo parte per la sofferenza, ma neppure per la prosperità. Parteggio per… la libertà, che mi è necessaria più della prosperità. E ho bisogno della morte affinché mi sia garantito quanto mi è necessario.

 

A questo punto della conversazione Martino e Sisifo si separano. Ognuno va per la sua strada. Sulla via di Corinto Sisifo incontra Ares, il dio della guerra. Questi, accortosi che durante le battaglie non moriva più nessuno, e che quindi non avevano più senso, era andato a caccia di Sisifo per liberare Tanato e permettergli di condurre il re di Corinto giù nel Tartaro.

 

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Nota: Il dialogo si ispira liberamente a due testi della tradizione letteraria e filosofica: Ricordi dal sottosuolo di Fedor Dostoevskij e Essere e tempo, di Martin Heidegger.