Intervista della redazione di "Salute inGrata"
sul Gruppo della Trasgressione
(pubblicato sulla rivista "Salute inGrata")

Redazione di Salute inGrata

04-04-2010  

Dott. Aparo, di cosa si occupa all’interno del carcere di Bollate? Psicologia, criminologia… volevamo discutere di stress, del suo affaticamento come operatore che svolge la sua attività all’interno di un istituto penitenziario.
Faccio lo psicologo per conto del SERT e… francamente la cosa non mi comporta né stress né fatica. Potrei anzi dire che mi diverte abbastanza, forse perché ho spazio a sufficienza per interpretare il mio ruolo in modo creativo.

Avverte stress nei detenuti che incontra?
Da parte mia noto il loro disagio di vivere in una situazione costrittiva e caratterizzata da una forte conflittualità. Tuttavia, se da un lato rilevo che la gran parte dei detenuti ha desiderio di vivere al di fuori della costrizione del carcere, dall'altro credo che le stesse persone, prima di essere detenute, abbiano amministrato le loro energie in modi che non erano più sani o meno stressanti di quelli che poi vivono durante la carcerazione.

Dott. Aparo, sappiamo che lei svolge il suo lavoro in maniera diversa da quella tipica dello psicologo in carcere. Qual è il suo metodo?
Domanda difficile, ma provo a dare una risposta. Mi sembra che in carcere (e non solo!) si vivano raramente dei rapporti autenticamente orientati verso l'evoluzione della persona. Per quanto ne so, la comunicazione in carcere è puntata più a stanare o a giustificare la colpa che a cercarne il senso, più a confermare gli schemi dai quali detenuti e operatori si sentono protetti che a comprenderne il funzionamento e le ragioni. Quando avverto questo e la cristallizzazione del rapporto che ne consegue, provo a destabilizzare lo schema cercando una relazione più dinamica e collaborativa. Qualche volta mi riesce; con Pasquale (N.d.R. Pasquale Forti, Capo redattore di Salute inGrata), ad esempio, avevamo raggiunto un rapporto intenso e d’amicizia, cosa che cerco di coltivare anche con gli altri membri del Gruppo della Trasgressione.

Aparo = Gruppo della trasgressione. È un lavoro che Lei fa per il carcere ed è composto solo da detenuti?
Il gruppo è nato nel carcere di San Vittore nel 1997, dapprima composto solo da detenuti; in seguito si sono aggiunti studenti universitari e altri liberi cittadini. Il gruppo è presente oggi anche negli istituti di Bollate e di Opera e ha incontri settimanali dentro il carcere, ma spesso organizza eventi al di fuori delle mura: convegni, concerti e incontri per la prevenzione nelle scuole. In tutte queste occasioni i detenuti portano le loro considerazioni, a volte leggono dei testi sui vari temi che trattiamo. Il lavoro è strutturato in modo da portare vantaggio tanto ai detenuti quanto ai liberi cittadini (insegnanti, studenti universitari e delle medie superiori). Adesso abbiamo in cantiere un progetto con le persone che soffrono di anoressia, un seminario su "La guida e la seduzione" e una ricerca sul mito di Sisifo. Anche in funzione della comunicazione fra dentro e fuori, tutti i nostri testi sono riportati sulle pagine di www.trasgressione.net.

I detenuti si mettono in contatto anche dopo la scarcerazione?
Sì, succede spesso. Lavoro negli Istituti di pena da trenta anni. Nei primi diciotto succedeva poche volte che mi cercassero ex detenuti; da quando esiste il Gruppo della Trasgressione, la cosa accade spesso: ci si vede in occasione dei convegni o semplicemente per le pizze alle quali partecipano ex detenuti, membri esterni e amici del Gruppo della Trasgressione.

Cos’è per Lei il carcere come luogo e a cosa serve?
Il carcere è una fabbrica di tradimenti, anche se non l'unica;  sono molte le situazioni in cui, un po' a tutti, capita di sentirsi traditi, abbandonati, fraintesi: in famiglia, a scuola, in ospedale è frequente che ci si senta traditi dalle persone o dalle istituzioni deputate a proteggerti. L'istituzione che sanziona o che amministra la pena dovrebbe anche tentare di intervenire positivamente sulla sensazione di tradimento che vive di solito chi si sente autorizzato a commettere reati. La Costituzione dice che la pena, in carcere o altrove, dovrebbe promuovere rapporti, strumenti e modelli di riferimento tali da favorire l'inserimento nel tessuto sociale di chi è stato condannato. Ciò richiederebbe però finanziamenti e investimenti proporzionati all'importanza degli obiettivi e questo non avviene! Nella maggioranza dei casi, quindi, ci si limita a garantire (tanto al reo quanto alla società offesa dal reato) la pena, tralasciandone gli obiettivi; non vengono fatti investimenti atti a ricostruire quelle lacerazioni che sono alla base del reato. Puntualizzo che parlo di lacerazioni (e di tradimenti reali o fantasticati) non per giustificare il reato, ma per tentare di risalire a ciò che lo rende attuabile agli occhi di chi lo compie.

Che cos’è il tradimento?
Direi che il tradimento si produce quando una persona si sottrae ai vincoli di un accordo (esplicito o anche implicito). Tutti coloro che vivono in società e beneficiano del lavoro e delle risorse della collettività tradiscono il gruppo quando ne disattendono i vincoli. Credo però che tale tradimento possa essere praticato con una certa disinvoltura solo da chi sente (più o meno coscientemente e non necessariamente a ragione) di essere stato a sua volta tradito.

E allora, hanno senso venticinque anni di carcere?
Penso di no. Credo assurdo incarcerare un uomo per un terzo della sua vita. Per quel che ne so io, la pena viene quantificata in nome del principio retributivo, ma tante volte il male che un uomo può fare non è quantificabile. Impossibile, dunque, pareggiare i conti fra male arrecato e pena! A mio giudizio, l'idea di una pena con cui "pagare le colpe" (come spesso dicono i detenuti) o con cui restituire al reo una pena proporzionale all'entità del reato (come suggerisce il principio della pena retributiva) portano fuori strada. Non si può risarcire un bel nulla; tanto vale dedicarsi a tentare di non aggiungere altre colpe da pagare o da retribuire.

Siamo stati invitati al concerto del gruppo, dove sono stati eseguiti pezzi di De Andrè. Quale sinergia ha l’autore con il gruppo?
In ognuno dei personaggi imperfetti di Fabrizio De André c'è una ricchezza che, se cercata, potrà contribuire a farci riconoscere parti di noi dimenticate o deliberatamente escluse. Per il Gruppo della Trasgressione, l’eredità di De André consiste soprattutto nell'impegno a rintracciare nella propria e altrui imperfezione le carte con cui giocare la partita collettiva della vita.