Perché le colpe dei padri non ricadano sui figli |
Maria Serena Natale |
26-12-2012 | Dal Corriere.it |
Venerdì 21 dicembre ho assistito alla rappresentazione del mito di Sisifo realizzata dai detenuti di Bollate nel teatro del carcere. Niente palco, poca luce e qualche problema con l’audio ma lo spazio scenico ha ritrovato tutta la forza trasfigurante del teatro che gli antichi greci collocavano nel recinto sacro. Carcerati, figli e padri venti-cinquantenni si trasformano in re, dei, greci di Corinto e tornano ad essere semplicemente uomini: Gualtiero, Massimiliano, Antonio, Francesco che alla fine saluta con un pezzo rap irriverentemente dedicato alla Trasgressione, dal nome del gruppo coordinato da Angelo Aparo che riunisce detenuti delle carceri milanesi di Bollate, Opera e San Vittore e che da anni lavora sui grandi interrogativi che bruciano nel cuore di Sisifo – la colpa, l’ingiustizia, l’arroganza del potere, la linea padre-figlio, il senso dell’istituzione e della pena, la responsabilità individuale, la morte. “Non abbiamo copione scritto, ogni volta improvvisiamo portando nella storia il nostro vissuto di devianza e lo sforzo di andare avanti” dice Gualtiero. “Il teatro mi ha insegnato a guardare oltre queste mura”, continua Massimiliano.
In sala c’erano ragazzi delle scuole e studenti universitari, invitati a riflettere sul rischio esistenziale che corrono i giovani derubati della fiducia nel futuro, nello Stato ma soprattutto in se stessi e nelle proprie potenzialità, tentati di scommettere sulla smania di potere anziché su un progetto di crescita e di vita.
“Devi sciogliere la rabbia che ti porti dentro e non attribuire la responsabilità sempre a qualcun altro – ha spiegato loro Antonio alla fine della messa in scena – altrimenti farai sempre gli stessi errori”.
Sisifo sceglie la strada del ricatto e della violenza insita nell’ingiustizia, si eleva fino a sfidare gli dei ma si convince di aver sacrificato la norma alla sopravvivenza del popolo, di aver agito per restituire l’acqua ai sudditi stremati dalla siccità allontanando da sé la responsabilità e la verità.
“Su queste basi la pena diventa insopportabile – dice Antonio – e non imparerai mai a costruire”. Né potrai insegnarlo.
Perché le colpe dei padri non ricadano sui figli è necessario che i padri per primi ammettano la colpa?
Nel dialogo con i giovani, articolato anche in un progetto anti-bullismo con le scuole della provincia di Milano, i detenuti portano la loro esperienza di libertà negata e dignità riconquistata attraverso il lavoro e la cultura, dimostrando concretamente che riempire di senso il vuoto della detenzione rende possibile il faticoso percorso di ricostruzione.
Alcuni degli attori di questa rappresentazione hanno passato metà della loro vita in carcere.
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