La mia strada come Sisifo |
Mattia Rotondi | 17-12-2010 |
Proprio così! Prima di conoscere il mito di Sisifo mai avrei pensato di poterlo accostare alla mia storia, ma ora è tutto diverso. Nell’anno 2007 ho deciso di sfidare a mio modo le autorità, tanto che, a dire il vero, un po’ mi vergogno a raccontarla. Credo però ne valga la pena, visto che in quella esperienza ci sono degli elementi che adesso ho riconosciuto nel mito.
Ho sfidato la morte, ho ignorato ogni limite e le autorità. Francamente, ci metterei dentro anche il bullismo e il suicidio. Quest’ultimo aspetto l’ho considerato solo recentemente, riflettendoci a mente fredda: probabilmente, nel momento di cui voglio raccontare, avevo tentato di farlo.
Comunque quella notte andò così: rubai un’auto e decisi di sfondare la vetrina di un giornalaio solo per vendetta. Dopo di che, nella strafottenza più totale, me ne sono andato a mangiare un panino e a bere del rum.
Dopo aver mangiato e bevuto ripartii verso il mio delirio, tra righe bianche che dividevano la carreggiata e righe bianche che dividevano il mio corpo e invadevano il mio cervello, sino a che incontrai 2 pattuglie dei carabinieri, che subito si misero a inseguirmi perché avevano riconosciuto l’auto che 30 minuti prima aveva sfondato quella vetrina.
Lì per lì, pensai di fermarmi; ma poi, invece, no! Così iniziai a correre verso Milano; ma l’auto che guidavo era troppo lenta per staccare i miei inseguitori. Nel frattempo le pattuglie aumentavano e le probabilità di riuscire a fuggire diminuivano, sino a che nella mia mente invasata balenò l’idea di fare la tangenziale di Molino Dorino contro mano. Poi decisi volontariamente di infilarmi in un tratto dell’A4 per poi entrare nella tangenziale ovest, tutto contro mano, evitando le auto che sopraggiungevano di fronte a me… e per farla in barba a Tanato, Zeus e tutti gli altri dei.
In quel momento, l’unico dio ero io, così pensavo, fregandomene di tutto e di tutti; il mio unico intento era di cercare di distruggere il maggior numero di veicoli della polizia che mi inseguiva. Vi dirò, in parte ci riuscii, distruggendo, nell’arco di due ore e mezza, 5 veicoli, ferendo 3 poliziotti e 1 carabiniere. Ma ormai non avevo più via di scampo e dovetti fare i conti con le autorità, i miei limiti, le botte prese e l’ospedale; sì perché la macchina si fermò e d’improvviso tornai con i piedi sulla terra. Fui arrestato e massacrato, ma tutto ciò non servì a farmi riflettere sul perché di quelle due ore di delirio.
Adesso che accosto la mia storia al mito di Sisifo, la cosa diventa più chiara; peccato però che la sto scrivendo in carcere, dove sto scontando la mia pena per spaccio, dopo aver commesso il reato quando ero in affidamento per un’altra condanna di spaccio.
Direi perciò che il mio masso lo sto spingendo ancora alla grande e forse solo adesso comincio a comprenderne il peso reale.