La falce dell'ombra nera | |
Aniello Frasca | 10-04-2004 |
Sono entrato da un paio d’anni qui dentro e ancora rivedo l’immagine dell’impatto: un mondo grigio, opaco, ovattato di dolore e speranza, smunto. Appena varcai la porta, fui invaso da un’aria gonfia di odori sconosciuti, con, in sottofondo, un mugolio di dolore e un assordante rumore di chiavi e cancelli. Anche se non ero conscio di ciò che mi aspettava, sapevo che non era per farmi una vacanza. Quanti occhi ho visto e quanti pochi tra loro, forse nessuno, ne rivedrò. Imparai a giocare tra noi il numero alto o basso di percentuale di libertà o di condanna. Capii che molti se ne sbattevano; con il numero degli anni si giocava al mercante in fiera, a chi aveva più probabilità di libertà o di condanna. Quel numero mi preoccupava tanto, il nostro mondo era continua incertezza e anche quel numero bastardo non poteva sfuggire alla regola. Quanti occhi, quanti occhi perforati dal dubbio che mangia voracemente l’anima ogni giorno. Le notti le trascorrevo sognando i giorni passati con mia moglie all’ospedale, con intrugli colorati nelle vene, con etichette impronunciabili, alcune coperte perché fotosensibili. Sembrava che neanche il sole volesse vederle. Tubi ovunque, inerme la mia forza fisica, e una tremenda repulsione alla cattiveria nera del suo sangue. Con il corpo stavo seduto, sdraiato, accovacciato, raggomitolato, ma la mente era via. Ogni giorno bestemmiavo Dio; di notte segretamente lo ringraziavo per aver visto un’altra alba e un tramonto. Se il cieco impara ad acuire e raffinare gli altri sensi, io ho imparato a viaggiare con la mente, a mangiare le soffici nuvole, a nuotare con i pesci nelle acque tropicali. Ho scalato a mani nude i monti più alti, ho anche riposato sulle rive del Nilo Azzurro e, se volete tutta la verità, sono stato anche a pisciare sulla Luna. Avevo desiderato io la morte, ma fu lei a ricevere questo dono, così finirono tutti i suoi tormenti. Oggi credo che passeggi con Maska, il suo bull terrier, in qualche angolo dell’universo. Così decisi che era giunto il momento di ruggire e non di miagolare. Che cosa me ne fregava di soffrire ancora? Erano quasi due anni che il corpo piangeva e la mente leniva il dolore; perché per tutto un periodo fu dolore, vomito, sangue, piscio, merda, cuore a martello e tanto fegato. In quei momenti forse Dio mi ha donato un po’ della sua forza, mi ha tenuto in braccio anche se credevo che mi avesse abbandonato, e nei miei pensieri avrei voluto sputargli in faccia. Mi accorsi di volergli bene bestemmiandolo. Bestemmiando ammettevo la Sua esistenza, così non incolpavo me; potevo accanirmi contro qualcosa e nello stesso tempo gli dicevo: “Oggi hai fatto sì che un altro giorno sia passato, grazie vecchio scorbutico”.
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E poi a pregare; cosa vuol dire “Sia fatta la tua volontà”? Tutto ha un significato; noi stolti non lo capiamo e ci distraiamo felici con la materia. Il destino, in fondo, è come un dubbio continuo da vivere serenamente con noi stessi e gli altri, sapendo che ogni evento ha una perla di saggezza da custodire e da mostrare agli altri. Trasmetteremo le nostre emozioni grazie alla parola, allo scrivere o ad un simbolo. Ringrazio Dio di avere sempre avuto qualcuno accanto; |