A mio figlio Edoardo |
Nicola della Valle | 21-11-2008 |
Quando ti ho visto per la prima volta eri un batuffolo nero. Sei uscito dalla pancia della tua mamma così piccolo che avevo paura a tenerti tra le braccia. Avevo 24 anni, tua mamma ne aveva 18. Eravamo tre bambini, solo che tu non camminavi. Ti muovevi ed eri un bambino a cui piaceva muoversi molto, come fanno i bambini, dentro la culla.
Io ero preso per gli orari per darti il latte e per cambiarti, abbiamo passato dieci anni insieme, ti venivo a prendere a scuola e ti portavo in giro, avevo tanta fretta e sarebbe stato meglio fermarsi. Facevo tutto troppo di corsa, sbuffavo e mi sentivo legato dalle diverse donne che frequentavo, ma adesso che ho tempo per pensare mi chiedo chissà cosa penserai di me, un giorno.
Mi chiederai: “Dove eri papà ai compleanni, quando mi sentivo male oppure ero triste”? Io dov’ero? Adesso ho il tempo di dirtelo: non sono stato un padre presente; anche perché la tua mamma oggi sta con un altro uomo.
Loro non vogliono che tu mi veda perché dicono che vai in confusione; stai con me un’ora, poi torni da loro. Io sono una parte negativa della tua vita. Edoardo, adesso tuo padre non va bene per te; secondo la tua mamma e il suo compagno, non vado bene per il tuo futuro.
Queste sono le parole che ti dico: ho sbagliato tanto nella mia vita, Edoardo, ma sono tuo padre e vorrei che tu mi conoscessi. Non sono pazzo, sono stato viziato dalla nonna, come sta facendo con te adesso. Camminiamo con le nostre gambe, vedrai che un giorno ci incontreremo e potremo parlare senza maschere e “accessori” che confondono i discorsi.
Lo so che hai sofferto, lo so che quando vedi la televisione e parlano di prigione tu sai che tuo padre è lì. Edoardo, è molto brutto farsi mettere le manette, è l’umiliazione più brutta che un uomo possa provare. Secondo me ho sbagliato troppo. Specialmente nel tornare in carcere.