Ho fatto un sogno

Luigi

27-10-2007  

Sono in una casa, una grande casa luminosa e senza mobili. Solo la camera da letto e la cucina sono scarnamente arredate. È una vecchia casa; sui muri si vedono i segni lasciati dai mobili, come spettri del tempo passato. Sono con mia moglie che è visibilmente a disagio e mi esorta a non lasciarla sola. E’ mattina ed evidentemente abbiamo dormito lì.

C’è un silenzio imbarazzante e mia moglie, ancora in vestaglia, mi guarda quasi a chiedermi di portarla via da lì. Esco sul terrazzo, un grande terrazzo anch’esso in disuso da tempo e vedo sotto la città che comincia a rianimarsi. Rientro in casa, guardo mia moglie e le comunico che devo uscire; devo assolutamente uscire a sbrigare una cosa importante. Lei mi guarda, non parla, ma so cosa mi vorrebbe dire: “Non lasciarmi sola, portami con te, non voglio rimanere in questo posto”.

L’imbarazzo e l’angoscia aumentano. Esco dalla casa e mi accorgo che alla porta manca la serratura. Mia moglie non si può chiudere dentro. Sento il pericolo, non dovrei lasciarla, ma mentre penso sto già scendendo le scale.

 

 

Umberto Boccioni, Materia

 

 

È una bella giornata autunnale. Alcuni spazzini, con delle grandi scope di saggina, stanno ripulendo i bordi della strada dalle foglie. Incontro mia sorella; ho saputo che mio nipote si è iscritto a scuola e mi propongo di darle 600 €. per acquistare i testi scolastici. Mi risponde indispettita che, prima di pensare ai libri di mio nipote, dovrei preoccuparmi di cose più importanti.

Me ne vado rattristato. Ho un appuntamento importante con alcune persone. Arrivato sul posto  li trovo che mi aspettano. Sono in due: uno, molto giovane, porta una sacca a tracolla; l’altro, più intraprendente, mi fa cenno di salire su una vecchia auto e mi dice che siamo in ritardo. Guido io. Uno sta seduto al mio fianco e consulta una cartina, il giovane invece è seduto dietro. Dallo specchietto retrovisore lo vedo armeggiare maldestramente con una pistola. Lungo il tragitto costeggiamo un parco dove andavo da ragazzo a giocare a pallone con gli amici della compagnia.

Sono ancora tutti là, so tutto di loro, ma loro non sanno nulla di me. Spero che non mi vedano in compagnia di questi due tizi. Sento crescere l’imbarazzo e mi vergogno. Passato il parco, arriviamo a una rotonda. Il tizio alla mia destra si rivolge a me in malo modo, dicendomi che ho sbagliato strada e che voglio sempre fare di testa mia.

Percorro tutta la rotonda e mi fermo, li mando a quel paese e scendo. Non mi interessa niente di loro e di quello che dovevamo fare insieme; mi accorgo solo ora che non li conosco e che non voglio averci niente a che fare. Uno dei due mi insegue e mi strattona per un braccio, io lo butto a terra con una certa facilità e mi trattengo dallo sferragli un pugno. I due spariscono all’improvviso, come non ci fossero mai stati. Sono solo.

Voglio soltanto andare a casa, abbracciare mia moglie e dirle che non la lascerò mai più sola.

Mi incammino, faccio fatica a camminare, ho una gamba più lunga dell’altra, mi sforzo, non voglio che qualcuno veda la mia difficoltà …

Mi sveglio.