Una bella partita |
Margherita Macis | 14-02-2004 |
Umberto è uscito, l'ho visto con la luce negli occhi, le spalle larghe, con il sorriso stampato, i suoi borsoni sparpagliati sul pavimento e le mani che tremavano come non mai.
Meno male che le chiavi del bagno della Nave erano rimaste in tasca al prof. che, tornando a portarle, ha incontrato Umberto sulla via dell'uscita. Appena mi ha detto che Umberto stava uscendo sono andata ad aspettarlo. Mi sono molto affezionata a lui in questi mesi. Le guardie dicevano che potevano passare anche ore. Per due ore sono rimasta lì e poi ho deciso di andare via.
Durante quel tempo però ho vissuto emozioni del tutto nuove.
Ho conosciuto un agente e insieme abbiamo dialogato con una semplicità impressionante, come due vecchi amici, o come se ci trovassimo entrambi in quel punto predestinati a fare quel discorso, dal nulla, da una battuta detta ad una sconosciuta si è cominciato a parlare di ruoli, di carcerieri e carcerati, di delusioni e gioie, di frustrazioni e rivalse, delle umiliazioni, di un mondo che secondo lui non cambierà mai, della sua insoddisfazione nello svolgere il suo lavoro al Nord rispetto a quando è a casa sua, a Lecce dove dice esserci un altro ambiente, dove a suo dire in carcere regna quel un tipo di rispetto che qui a Milano non ha trovato, né da parte dei colleghi, né da parte dei detenuti.
Ho poi visto madri e fratelli concentrare le proprie energie su quel rettangolo grigio, sperando che con il solo desiderio potessero mettere in funzione la luce gialla che annuncia l'apertura del cancello elettrico, aspettando e aspettando per ore qualcuno, già dalla mattina, con il freddo nelle ossa.
Anche io ho condiviso quell'emozione, quell'attesa, anche se non era mio fratello, ma un amico conosciuto proprio a San Vittore.
Ero quasi a casa quando il telefono squilla ed era Umberto; con la voce rotta ad ogni mia domanda rispondeva: "Non ci capisco più niente!!".
L'ho raggiunto. Ci ha provato anche Cosimo ma non ha fatto in tempo.. e mi dispiace.
Che sensazione stare lì a riempire quei primi minuti con Umberto, senza fare niente, senza dire niente di particolare, solo vivere, seduti a bere un cappuccio nel bar più squallido del circondario, aspettare la sua famiglia, ricordare alcuni momenti e immaginarne di nuovi, fargli compagnia mentre riprende contatto con i suoi organi di senso bombardati da centinaia di stimoli e vederlo spaventarsi perché un cagnolino gli annusa una gamba e poi sorridere insieme mentre con sorpresa dice: "Un cane!!".
Ho conosciuto suo papà, suo fratello e sua cognata; l'ho visto uscire da quel tabacchi felice con la sua famiglia, tra baci e sorrisi, con la promessa di sentirci presto, anche per i prossimi incontri del gruppo.
Gli auguro tutto il bene del mondo.. (sono materna con Umberto, ha ragione il prof!), ha ottime carte per ripartire alla grande. Certo è che nella sua manica potrebbe aver conservato una carta della mano precedente, una di quelle che ti accorgi di avere solo quando sei fuori, una di quelle che possono far perdere la partita. Il gruppo gli ha dato molto, continua a dirlo, e confido che tra le sue sacche, in mezzo a vestiti e ricordi che sanno di chiuso, forse in qualche cartelletta in mezzo a pensieri e disegni, si è portato fuori anche un segreto: la mossa da fare per scartare quella carta al momento giusto.
La sua partita è appena ricominciata e gli ho fatto capire che se lo vorrà, noi faremo il tifo per lui.