Dal cerchio del pozzo |
Marcello Lombardi | 29-10-2003 |
Ogni volta che ricordo il mio passato confuso e dominato dalla rabbia, mi ritrovo con gli occhi pieni di lacrime. Non avrei mai pensato che quel dolore si potesse trasformare in rimpianto per tutto quello che avrei voluto fare e non ho fatto. Ma allora perché ricordare?
Ricordare le sofferenze sperimentate, mantenere vivo il rancore è per me un tentativo per superare l’impotenza e per tappare quei buchi che si sono formati.
Quando, ancora ignaro del mio destino, scappavo di casa per andare a vedere gli aeroplani, da solo, sempre solo, dove nessuno mi vedeva e potevo aprirmi ai miei più remoti e schiaccianti pensieri, mi potevo disperare e potevo gridare: “Perché io? Perché a me?”. Solo stando, solo lo potevo fare; gli altri, tutti gli altri, erano nemici e non mi sarei mai aperto ad un nemico.
Oggi, avere poca possibilità di fuggire dalla mia esistenza mi permette di comunicare col mio passato, mi permette di riconoscerlo e di provare a congedarlo. Solo così riesco ad agire in maniera creativa e ad organizzare le giornate.
Accettarlo mi evita di affogare nel pozzo della follia demente dei miei incubi inconfessabili, fra i quali vivo come un zombie, mentre tutto mi passa accanto come se non mi riguardasse.