Più piccolo, ma migliore | |
Livia Nascimben | 13-10-2003 |
Ho sempre pensato, sentito e temuto che mio fratello minore fosse l'orgoglio dei miei genitori e io una figlia un po' scassata di cui vergognarsi.
Avevo tre anni quando è nato lui; desideravo avere un fratello, certo non immaginavo che presto la gioia si sarebbe trasformata in rabbia: ero consapevole che il calore e l’affetto dei miei genitori non sarebbero più stati solo per me!
Lui era piccolo ed era giusto dargli di più, io dovevo capire, ero "grande", dovevo essere giudiziosa. Ma vedevo solo che sotto c’era un imbroglio, ero piccola anche io ed ero gelosa, temevo di non andare più bene, di venire sostituita da quel piccolo tesoro appena nato a cui loro davano ogni tipo di attenzione.
E come in ogni profezia che si auto determina, negli anni seguenti lui è sempre stato il più piccolo ma il migliore fra i due.
Alle elementari leggeva meglio di me; nulla di male, se lui non fosse stato in prima e io in quarta! A casa dei miei zii era sempre invitato a leggere pezzetti di libri e giornali, tutti erano contenti e meravigliati dalla sua bravura e a me toccava la parte di quella che doveva essere pregata per leggere due righe, che regolarmente leggevo da schifo.
Alle medie era bravissimo in tutte le materie, in inglese era un portento; io me l'ero cavata degnamente ma al liceo avevo delle difficoltà. A quei tempi il confronto è stato ancora più spietato: si diceva che era così bravo alle medie che poteva dare ripetizioni a me che ero al liceo!
E’ sempre stato una persona divertente, con tanti amici, bravo nello studio, impegnato in attività fuori casa: in una parola, brillante! Io quella a cui bisognava tirare fuori le parole con le pinze, solitaria, che aveva le potenzialità ma non le tirava fuori, la persona a cui dover sempre ricordare "potresti fare meglio".
Dio mio, quanto odiavo i confronti, li ho sempre odiati. Anche se non venivano certo fatti con malignità o allo scopo di umiliarmi, essere confrontata a mio fratello per me ha sempre voluto dire perdere, essere la parte marcia.
Ora lui già lavora mentre io arranco o, forse no, cerco di trovare la mia identità, una strada che mi faccia sentire di andare bene mentre la percorro.