Il nodo vorace | |
Gr. Trsg | 30-09-2003 |
La mente si blocca.
Le parole si smorzano in gola.
Gli occhi si gonfiano.
Non riesco a pensare a niente.
I momenti belli vengono confinati in un angolo, tutto ciò che sento è uno strano calore al volto. Ho paura di diventare rossa, non voglio che si possa leggere esternamente ciò che provo.
Ho immagini di morte negli occhi, ho una mano pronta a ferire, vorrei tagliare l'aria con le mie parole, fare del male, insultare chi m'ha fatto soffrire, chi ha messo nella mia testa la convinzione di essere inutile, di sbagliare sempre tutto, di essere un peso.
C'è qualcosa che mi stringe il cuore, lo fa battere più forte... ho paura che scoppi.
Quel nodo sale: nello stomaco si alimenta, è lì che mi ruba l'energia di cui avrei bisogno per vivere, per pensare, per essere serena. Non gli basta mai quello che gli do... vuole sempre di più.
Chiede alla mia mano di afferrare qualcosa.
Chiede alla mia bocca di aiutarlo a sfamarsi.
Non è mai sazio.
Sale ancora... arriva in gola.
Ha lasciato il vuoto dietro di sé, un vuoto che verrà colmato solo con qualcosa di materiale, solo con dell'altro cibo.
Ormai quel nodo è enorme... anche il respiro si ferma in gola, non può passare, non ha spazio. Tutto si ferma. Un calore carico di odio mi invade il cervello, mi fa sudare freddo, mi impedisce di pensare.
Allora scappo... prima di piangere.
Il mio pianto sarebbe una soddisfazione per chi invece non se la merita. "La vittoria deve essere mia", "tanto gli altri non capiscono" - penso mentre fuggo. Poi da sola PIANGO. Vorrei urlare, fare la matta, picchiare, sfogarmi. Ma non posso.
Piango in silenzio, per non essere ascoltata, per non farmi compatire, per non dare disturbo, per non essere un peso. Tutto il mio rancore è diventato un fiume di lacrime che mi rigano il viso, che mi feriscono l'anima. Mi illudo che si sia esaurito sciogliendosi, invece la mia pelle lo riassorbe e torna più potente di prima.
Invade i miei pensieri e le mie azioni. Occupa le mie giornate.
Così cerco qualsiasi modo per placarlo, per impedirgli di annebbiarmi la mente. E talvolta, quando impulsivamente ingurgito cibo per saziarlo... il senso di colpa per averlo aiutato mi assale, così mi riprendo ciò che gli ho appena offerto. Anche se fa male.
Poi penso a ciò che avrei potuto dire o fare.
Ma ormai è già troppo tardi... per l'ennesima volta.