Ho cambiato i fiori | |
Antonella Cuppari | 22-10-2003 |
Qualche giorno fa ho sognato mio padre; mi capita raramente da quando è morto, e la trama è sempre la stessa. Sogno che lui è nella bara, che sono al suo funerale e che, ad un tratto, lui torna a vivere. Io rimango stupita e un po’ turbata della cosa e gli dico che, se lui vuole continuare a stare vicino a me, a mia madre e ai miei fratelli, deve comportarsi bene: non deve più bere, non deve più fare debiti… deve diventare un buon padre. Si tratta di sogni belli e brutti allo stesso tempo, si tratta di sogni che un po’ mi fanno paura, perché avvicinano un fantasma da cui io voglio tenermi lontana per non soffrire.
E’ morto ormai da undici anni e andare a trovarlo sulla sua tomba è sempre stata per me un’azione faticosa, di cui mi vergognavo, che mi dava fastidio e che non mi aveva mai dato alcuna emozione positiva. Mia madre mi ha sempre ripetuto che, nonostante i grossi sbagli che lui ha commesso e nonostante le dure conseguenze che a causa di ciò abbiamo dovuto subire dopo la sua morte, lui rimane pur sempre mio padre e va perdonato… Perdono, perdono…
Ultimamente, però, neanche lei sembrava più convinta della cosa. Undici anni di sacrifici e di duro lavoro non sono bastati ad evitarci, oggi, di dover cercare una casa nuova, dato che quella di prima è servita per saldare i vecchi debiti.
Così erano mesi che la colombaia che lo ospita non veniva più visitata. La rabbia per la situazione difficile che io e la mia famiglia stiamo vivendo, è stata una crudele alleata. Ci siamo sentiti in potere di punirlo, negando il suo ricordo, negando ogni legame con lui. Mia madre, come gesto estremo, ha informato me e i miei fratelli che non se la sentiva più di pagare la luce del cimitero; le ho detto: “Mamma, ti capisco, ma non ci si può accanire contro un morto.” Lei, mi ha risposto: “Lui si è accanito contro quattro vivi e senza pensarci troppo.”. Sapevo, però, che non lo avrebbe mai fatto.
Poi è arrivato quel sogno; ho aspettato qualche giorno prima di raccontarlo a mia madre. Le ho espresso il desiderio di andare al cimitero, sì, dopo così tanto tempo, e non perché fosse un giorno speciale, o perché fossi obbligata da qualcuno. Lei mi ha risposto che lo avrebbe fatto anche lei, dopo di me.
Sono andata dal fiorista e mi sono fatta confezionare un mazzo di fiori davvero bellissimo. Lo guardavo ed ero felice. Sentivo che quei fiori portavano con sé una nuova aria di freschezza, di vitalità e di primavera in un rapporto, quello tra me e mio padre, che si era congelato dopo la sua morte.
Sono arrivata davanti al cancello del cimitero. Ero emozionata; con quel mazzo di fiori in mano, passo dopo passo, mi avvicinavo a mio padre… un viaggio nello spazio e nel tempo, nei ricordi della mia infanzia, nelle profondità di me stessa.
Sono rimasta turbata e mi sono vergognata alla vista dei fiori, ormai rinsecchiti, sulla sua tomba.
“Eccolo il mio rancore. Mai più.”
Ho preso la scala, ho cambiato i fiori. Ho guardato la sua foto, a lungo. Ho osservato quegli occhi, ho cercato se c’era qualche particolare del mio viso che assomigliasse al suo. In quel momento ho rivisto mio padre. Mio padre. Ho bagnato un fazzoletto con dell’acqua e ho pulito la sua foto, il suo lumino, i caratteri che formano il suo nome.
Sono scesa dalla scala e l’ho rimessa a posto. Ho ammirato di nuovo quella colombaia che per me sembrava quasi brillare. Poi ho parlato a mio padre: “Non si tratta di perdono, papà. So solo che adesso sto bene, non più monca, non più figlia a metà. Sei morto sì, ma mi sento più vicina a te e a quella parte della mia vita che il dolore aveva cancellato.”
Ho sentito una prima breccia nel muro.
Anche mia madre e i miei fratelli sono andati poi al cimitero.
Ho gettato quei fiori rinsecchiti nella pattumiera.
E il cielo si è fatto più azzurro.