Il trenino di Cristina |
Gabriele Tricomi | 20-06-2010 |
Otto anni, l'età in cui i bambini credono in Babbo Natale. Era anche l'anno delle Brigate Rosse. Mi trovavo a Roma in un collegio di correzione, un posto che da fuori pareva la residenza estiva del Papa. C'erano tanti animali: pecore, capre, maiali, ecc.
Ricordo quando mia madre mi accompagnò alla stazione di Taormina; mi disse: "Lì starai bene". Non mi fidai affatto. Ricordavo quello che avevo passato credendomi impossessato dal diavolo e su quel treno, non solo per mio padre che mi aveva imposto di stare attento alle fermate, non riuscii a dormire.
Giunto in collegio, ad accogliermi vennero una folla di bambini accompagnati da Cesare, un omone con i baffi, il cappello di paglia e un bastone in mano. Mi prese per una spalla e mi disse: "Tu sicuramente sei Gabriele" e non poteva sbagliarsi… con me c'era Fabio, mio fratello, che piangeva e non si mostrava affatto un duro. Quindi mi disse: "Qui dovrai rigare dritto, sennò le buschi!"
Sinceramente quell'uomo non mi faceva alcuna paura: mio padre era più grosso! Quella che mi terrorizzò fu una donna che aveva una treccia lunga sino al fondoschiena, delle scarpe da marines e un accento tedesco. Lei mi mise in mano una cesta color pesca e mi disse: "Metti qui tutte le tue cose e togli ciò che hai di commestibile". Io avevo la mia valigia dove mia madre aveva messo olive in salamoia, fichi secchi, pomodori secchi e un pane fatto in casa da lei.
Ovviamente non volevo darglieli e quindi mi ribellai, ma la tedesca, che poi scoprii essere la direttrice, mi prese per un orecchio e lo strinse talmente forte che mi alzò sulle punte dei piedi. Alla fine dovetti mollare. Lei aggiunse in un tedesco italianizzato: "Come ti permetti di fare queste cose?". L'accento era così marcato che mi sembrò di avere davanti Hitler.
Tutto proseguiva, il cibo era poco, la fame tanta e così mi trovai costretto sin da subito ad andare a rubare. Mi riempivo la maglia di frutta e me ne andavo in quello che si chiamava dormitorio. Lì facevo mangiare mio fratello, e anche altri. Ma visto che, come in carcere, gli spioni non mancavano, prendevo la mia razione di botte quotidiane. Non potendo però permettere che mio fratello soffrisse la fame, non mi importava delle botte, tanto alla fine ci si abitua.
Intanto il tempo passava e dato che avevo sentito che lì a Natale venivano gli americani (che erano i proprietari) con molti regali, aspettavo con ansia dicembre. Qualche tempo prima però bisognava scrivere un discorso per raccontare come si trascorreva il tempo in quel posto, un po' come si fa in carcere quando si attendono visite di parlamentari o altri. Guai però a dire la verità! Io però, pur se non volevo scrivere menzogne, non avevo alcuna intenzione di perdermi l'opportunità di ricevere i regali, specie dopo avere visto un trenino a carica manuale.
Pur se avevo paura dei treni veri, il trenino lo volevo. Ero però consapevole che non era prevista la mia presenza alla cerimonia e così, quando arrivarono Natale e gli americani, mi trovai un nascondiglio in mezzo agli animali e ci rimasi sino all'ora in cui sarebbero stati distribuiti i regali in refettorio. Ovviamente sapevo che dopo le avrei buscate, ma il desiderio del trenino era troppo forte.
Verso le 20:00 uscii dal mio nascondiglio, dove mi ero saziato con alcune mele, e mi incamminai verso il refettorio. Ricordo che tutti i badanti corsero verso di me con un sorriso che più falso non si poteva, d'altronde c'erano gli americani. Mi presentarono come il ribelle e mi chiesero di scegliere il regalo. Il trenino che volevo, però, lì non c'era. Piansi.
Ricordo che piansi molto e con un po' di vergogna, ma erano troppi i sacrifici che avevo fatto. Alla fine Cristina, la figlia dell'Americano, si assentò per un po' pregandomi di non piangere più e dopo un po' si presentò con un bellissimo trenino che poi scoprii essere il suo. Era andata a prenderlo nella stanza dei suoi giocattoli. Cristina aveva poco più degli anni miei ed era una ragazza bellissima.
Ero felicissimo e non vedevo l'ora di giocare in dormitorio con mio fratello. Mai mi sarei aspettato che la tedesca mi schiacciasse il mio trenino; le botte sì, ma mai un gesto così cattivo!
Ora le botte le prendo tutti i giorni, l'ergastolo mi picchia più forte di quanto non abbia fatto mai nessuno. Oggi nessuno mi regala un trenino e io, al contrario di prima, mi complimento continuamente anche con i cattivi, anzi, quando vengo umiliato, mi sento più forte.
Oggi, senza Babbo Natale e senza BR, ho cominciato a ricostruire il trenino che mi aveva regalato Cristina.