Walter Vannini

Docente di criminologia
Scuola per Operatori sociali, Comune di Milano

 

A cura dell'intervistato Intervista sulla punizione Le altre interviste

 

Ci dica 5 parole che lei può associare al termine “punizione”.
Esclusione/relazione; giustizia/ingiustizia; consenso/governo.

 

Ci può parlare brevemente di una punizione che ricorda di aver subito?
Una punizione mancata, diciamo. Ho forse quattordici anni. Mia madre mi rincorre con un battipanni (ne ho combinata una proprio grossa), ma ormai sono abbastanza cresciuto, mi limito ad impedirle i movimenti delle braccia circondandola in un abbraccio affettuoso. Da allora il nostro rapporto cambia, lei si accorge che sono cresciuto (nonostante i disastri che, all'epoca, ancora combino) e io (forse) mi sento in dovere di essere più rispettoso.

 

E lei ha mai punito qualcuno?
Si, certo.

 

Di solito si punisce un comportamento, ma quali sono le costanti dei comportamenti che vengono puniti, quali sono gli atteggiamenti che di solito accompagnano il comportamento che si ritiene di dover punire?
Non vedo costanti, e non direi che si punisce un comportamento:

Non vedo costanti perché mi parebbe di banalizzare il fatto: si punisce chi non si conforma oltre una certa soglia, socialmente convenuta, o implicita (non deve essere ignota sennò non è punizione, ma crimine o tirannide, che è una cosa differente).

Ma chi non si conforma non è detto non sia meritevole di lodi. Per esempio un dissidente politico in un regime ingiusto, un coraggioso che innova, seppure trasgredendo (pensa all'arte).

 

Che cosa si prefigge di ottenere colui che punisce?
Indurre una deviazione (del comportamento, della percezione, ... ) più o meno permanente nella persone o in chi guarda (la società o la parte di società cui ci si rivolge).

 

Cosa rende più probabile che la punizione sortisca l'effetto desiderato?
Che sia componente, marginale, di una attenzione molto più articolata, sofisticata, partecipata.

 

La punizione può sortire a volte l'effetto contrario a quello cercato?
Certo, la storia ne è piena: Dai martiri a chi scrive la storia, dopo averla avuta vinta.

 

Può citarmi un esempio di punizione che abbia raggiunto lo scopo?
La istituzione della  commissione per la riconcialiazione in Sud-Africa,  e lo scambio verità/non punibilità (la punizione sarebbe scattata solo per chi -avendo commesso nel passato crimini- non avesse accettato di aiutare nella ricostruzione storica delle vicende dell'aphartheid).

Tuttavia la domanda mi mette a disagio perchè presuppone che la punizione persegua un intento buono, in assoluto. L'intento è buono per chi lo commina. Non per altri. Vedi per esempio il coro dall'Adelchi, scritto da Manzoni in occasione dell'invasione dell'Iraq.

 

E quello di una punizione che lo ha mancato completamente?
La persecuzione delle idee dissidenti; la punizione del carcere, almeno in Italia;  eccetera. Ciò che non funziona è l'idea stessa che la punizione di per sè sia sufficiente ad estirpare il male!

 

Abbiamo davanti a noi un quadro con dei personaggi, di cui qualcuno punisce e qualcuno viene punito. Quali persone e quali situazioni caratterizzano questo quadro?
Credo chiunque in una relazione asimmetrica. Anche quando l'impiccato chiede perdono e si mette da sè la corda al collo, quel convincimento che è giusto essere uccisi (o immolarsi, per esempio) è l'esito di una relazione asimmetrica. In una relazione simmetrica, tra egualmente potenti, non vi è punizione, ma contratto, spartizione delle rispettive aree di influenza.

 

Mi può descrivere almeno un altro “quadro tipico della punizione”?
Qualsiasi ambito coercitivo. Mi riesce difficile immaginare una quadro tipico della punizione senza pensare alla coercizione. Per esempio quando subiamo il potere dell'altro. Quando hai forzato il gioco,  sapendoti in vantaggio. Quando hai scelto anche per altri, senza chiederglielo. Pensa a quando sei stato negato.

 

Quale immagine hanno l'uno dell'altro chi punisce e chi viene punito?
Facciamo un esempio davvero enfatico Non puoi uccidere uno di cui dici: è il papà di un bambino che forse ha l'età del mio, anche lui fa come me con mio figlio: lo aiuta quando una tristezza l'ha preso, si  emoziona per un moto di filiale affetto. Anche lui -come me- avrà accarezzato il suo amore e sperato di vivere meglio. Per tutti.

Si uccide l'immorale. Il capro espiatorio. L'indegno. Il peggiore. Il nemico. L'altro da te. L'inumano (!?). Non puoi uccidere te stesso. Devi uccidere (leggi: molestare, rapinare, offendere, violentare, dargli una droga) uno/a che costituisci come l'opposto di te (anche troppo fortunato, può bastare).

E' stato detto: capire è già perdonare (un po')

Per rispetto delle vittime, devo precisare: non sto parlando di sterminio, non parlo, qui, dei campi di concentramento. Non penso a quelli -i lager- come punizioni. Li' è altro. Un pensiero a Primo Levi.

 

Che rapporto c'è fra punizione e potere?
Io dico un rapporto inverso: tanto più il potere è effettivo tanto meno utilizza la punizione e tanto più promuove la collaborazione e l'educazione, o almeno l'astensione passiva (le democrazie occidentali funzionano così, credo, promuovono la astensione dal dissenso attivo, più che la sua repressione).

Peraltro, potere e potere di punire non siano esclusivi delle organizzazioni (Stato. Gruppi, eccetera)… come è noto a chiunque abbia avuto una relazione, d'amicizia, d'amore, d'affari.

Il potere è comunque una risorsa. E' un vantaggio. Ed è distribuito, ma, ahimè, in modo difforme. Quando ne parliamo, io penso, ne parliamo più come problema di redistribuizione, che di esso in quanto tale.

 

Con quali forme di potere è compatibile il ricorso alla punizione?
Tutte, ma con alcune di più. Diciamo, più l'organizzazione è verticale (come nelle organizzazioni criminali, nei movimenti autoritari, fascisti in particolare, nella relazione fortemente asimmetrica, eccetera) più la punizione è funzionale. Perché in tali organizzazioni, il consenso non si basa sulla partecipazione, ma sulla cooptazione, la concessione e il privilegio, e  perché punire implica aver superato filtri che impediscono di punire erroneamente: tanto più una organizzazione è verticale tanto meno servono filtri che impediscono l'arbitrio. Un esempio è il tempo di guerra dove la verticalizzazione è massima e i filtri scarsi o inesistenti, così mi spiego gli episodi (?) di tortura avvenuti in territori di guerra.

 

Quali obiettivi persegue il potere con la punizione?
Riprodursi, mantenere la stabilità del sistema. Ma anche recuperare o, nel caso peggiore, compensare i deficit di legittimazione.

 

Pena e punizione: trova che esistano delle differenza rilevanti?
La pena è un insieme di misure che incidentalmente possono ammettere la punizione, ma non la presuppongono necessariamente. Per esempio, nel diritto penale minorile la filosofia generale, direi, è che la pena è sensata in quanto utile alla crescita felice del minore. In questo senso, la punizione viene ritenuta a volte incongrua, è il caso del perdono giudiziale, o (seppure un poco differente) della messa alla prova, o -più in generale, e anche fuori dal minorile-  delle scelte di politica criminale che comportano depenalizzazioni, di fatto. Quindi la differenza c'è, e può essere notevole.

 

Quali sono le finalità della pena inflitta dalla Legge?
Art. 27 Costituzione. La pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Altri scopi sono illegali. Se la pena non è coerente al 27 Cost. è illegale. In questo senso si è per es. discusso della legittimità dell'ergastolo. Può la pena del carcere a vita essere considerata rieducativa?

Personalmente, nella "rieducazione del condannato" vedo -oltre che la neutralizzazione del violento contro le cose e le persone e la finitezzza del carcere- un invito alla collettività a essere consapevole che non è la punizione la risposta al disagio (se di disagio si tratta) e che vi è una corresponsabilità sociale nel crimine. Non abbiamo le uguali chance, non abbiamo le stesse risorse. Dunque, penso a "rieducare" come azioni dirette non solo all'autore del reato, ma anche alla collettività in cui quell'uomo/donna vive. Ed a me stesso, naturalmente.

 

Di solito, gli scopi della pena vengono raggiunti?
Di solito no. Perchè le pene non sono indirizzate tanto al condannato, quanto ad altri soggetti, con scopi differenti. Dimostrazione: Il condannato, è un attore residuale e francamente poco importante.
Potrebbe essere interessante calcolare, fatto 100 il costo per detenuto, quant'è l'investimento per detenuto relativo alle attività di reinserimento sociale e quanto per la pura custodia.

Tanto il criminale sta nei titoli di testa,
quanto il detenuto sta nei titoli di coda
.

Per un sitema che chiede sicurezza, non è importante che il detenuto esca!

 

Quali motivazioni vivono verso il condannato il giudice che punisce e gli operatori preposti all’espiazione della pena?
Bisognerebbe fare un sondaggio per saperlo.
Rispondo per me. ritengo la condanna sensata solo se ho ragionevoli certezze che è la soluzione migliore tra quelle date. Sennò mi regolo di conseguenza.
Altro discorso è la valutazione sulla permeabilità degli operatori professionali ai movimenti di opinione o ai sistemi di influenzamento delle decisioni. Indubbiamente vi è una permeabilità, Penso sia inevitabile e, nel contempo, penso che un operatore professionale, se tale, debba porsi esplicitamente il problema. E cercare soluzioni generali, di sistema.

 

Esiste una pena ideale? Una pena coerente con il fine che si propone?
Beh, quella che non è vissuta come tale dal punito o da chi guarda. Il massimo del conformismo, insomma. Più realisticamente, immagino quella che non prevede punizione, se non come evento eccezionale; il cui esito è una comunità meglio consapevole che la devianza è un fatto corale, non individuale;  che rende l'individuo (anche) affettivamente consapevole del danno che produce.

 

Fra i tipi di pena e di applicazioni che esistono oggi nel nostro paese, lei ritiene che ce ne siano alcuni che sono più conformi allo scopo?
La domanda è vasta. Quanto alle più utili, credo quelle che restituiscono alle comunità le loro responsabilità, neutralizzano i criminali e formulano una possibilità realistica di convivenza.

 

Ha dei suggerimenti per andare in questa direzione, ovvero per aumentare la probabilità che la pena raggiunga il suo scopo?
Agire sulle contraddizioni dei sistemi di controllo sociale e dei sistemi criminali.

 

Cosa si può fare in concreto in questa direzione?
Mah, per esempio iniziative serie, come mi pare la vostra, tese a riflettere sul senso complesso delle cose. Ricerca estetica. Arma anticriminale fondamentale, io credo.

 

Quale tipo di relazione fra operatori e condannato è più confacente al conseguimento dell’obiettivo evolutivo o rieducativo della pena?
Un contratto avvertito da entrambi come vincolante e per entrambi sostenibile, realistico
.

 

Una pena che punti alla rieducazione non può prescindere dalla motivazione del condannato. Quali strumenti, quali condizioni ritiene che possano attivare tale motivazione?
Quelli necessari per avere la motivazione del condannato e delle istituzioni...

 

A suo avviso esistono delle alternative alla pena?
Certo, tutto il resto della vita.

 

Parliamo dei punti di contatto, delle analogie e delle differenze che esistono fra la punizione nel rapporto genitori-figli e la pena inflitta dalla legge...
Non vi sono analogie, neppure formali. Salvo che il senso della punizione privata è certo costituita anche dalle pratiche pubbliche (leggi: politiche) di punizione.

 

In particolare, gli obbiettivi della pena decisa dalla Legge e quelli della punizione in famiglia hanno dei tratti in comune e/o delle differenze di rilievo?
Non vedo il nesso, salvo un generico e qui ininfluente richiamo alle pedagogie. L'accostamento o il confronto mi sembrano fuorvianti.

 

Lei è a conoscenza di altre società dove gli obiettivi e l’attuazione della pena siano significativamente diversi che da noi?
Si, ma non sono sistemi sociali comparabili ai nostri. Intendo dovremmo smetterla con il carcere. Ma la soluzione dovrà essere originale.

 

Mi sa  dire qualcosa sulla punizione o sulla pena che faccia ridere?
Mastro Geppetto davanti alla peste Pinocchio.Ovvero quando l'amore (paterno, materno, di amanti, filiale, eccetera) si infrange con una urgenza di libertà e voglia di vivere, ma da burattino. Dimentico della relazione. Una ignoranza che costa un sacco. Ma nei bimbi -quando accade- ci fa sorridere. Giustamente.