Giovanna Fratantonio

Ex direttrice del carcere minorile Cesaria Beccaria


A cura dell'intervistata Intervista sulla punizione Le altre interviste

 

Ci dica 5 parole che lei può associare al termine “punizione”.
Pentimento, dolore, vergogna, severità, regole.

 

Ci può parlare brevemente di una punizione che ricorda di aver subito?
A 6 anni volevo studiare il pianoforte, cosa che mi fu consentita, ma poiché invece di pranzare seppellivo o buttavo via il cibo, fui minacciata dai miei genitori che non mi avrebbero più consentito di seguire le lezioni se avessi persistito a non mangiare. Io continuai a non volere mangiare e non potei più seguire le lezioni. La punizione mi brucia ancora adesso, perché amo la musica e mi piacerebbe sapere suonare.

 

E lei ha mai punito qualcuno?
Sì, moltissime volte.

 

Di solito si punisce un comportamento, ma quali sono le costanti dei comportamenti che vengono puniti, quali sono gli atteggiamenti che di solito accompagnano il comportamento che si ritiene di dover punire?
Le costanti sono la violazione di una regola importante per la convivenza, la prepotenza, la mancanza d'amore per gli altri.

 

E quale atteggiamento, invece, manca o è carente nella persona che si ritiene di dover punire?
La considerazione per le esigenze e i diritti degli altri.

 

Che cosa si prefigge di ottenere colui che punisce?
Di insegnare a comportarsi correttamente.

 

Cosa rende più probabile che la punizione sortisca l'effetto desiderato?
L'autorevolezza di chi punisce, la sua credibilità e la spiegazione del motivo della punizione.

 

La punizione può sortire a volte l'effetto contrario a quello cercato?
Sì, se comminata senza tener conto delle ragioni del punito.

 

Abbiamo davanti a noi un quadro con dei personaggi, di cui qualcuno punisce e qualcuno viene punito. Quali persone e quali situazioni caratterizzano questo quadro?
C'è un giudice e davanti a lui un imputato, il primo si protende verso il secondo che, col capo chino ascolta.

 

Mi può descrivere almeno un altro “quadro tipico della punizione”?
Il Giudizio universale della Cappella sistina.

 

 

 

Quale immagine hanno l'uno dell'altro chi punisce e chi viene punito?
Entrambi pensano di essere disprezzati dagli altri.

 

Quali sentimenti, quali fantasie vive chi punisce?
Chi punisce può sentirsi a disagio nello svolgere una funzione che lo porta ad infliggere una pena, vorrebbe fare capire l'errore commesso solo ragionando.

 

E chi viene punito?
Chi è punito è in parte rassegnato, in parte infastidito perché pensa che nessuno possa capire i motivi profondi del suo comportamento censurabile.

 

Riportiamo lo stesso discorso al piano genitore-figlio: quali stati d'animo prova un genitore che punisce?
Il genitore che punisce prova dolore, paura di eccedere nell'entità della punizione, rabbia per non essere stato compreso quando dettava le regole.

 

E un figlio che viene punito?
Il figlio punito prova ribellione e frustrazione, si sente vincolato al genitore dalla dipendenza economica.

 

Che rapporto c'è fra punizione e potere ?
Il potere viene esercitato anche attraverso la punizione.

 

Con quali forme di potere è compatibile il ricorso alla punizione?
Solo nel caso di un potere democraticamente conferito dalla società è legittimo l’esercizio della facoltà normativa e, quindi, punitiva.

 

Quali obiettivi persegue il potere con la punizione?
Ristabilire l’ordine sociale, insegnare il rispetto delle regole, evitare nuove violazioni.

 

Pena e punizione: trova che esistano delle differenza rilevanti?
Certamente la parola “pena”, nella sua prima accezione, sgnifica dolore; la punizione è l’inflizione di una pena, cioè di un dolore.

 

Quali sono le finalità della pena inflitta dalla legge?
Le finalità di deterrenza, rieducativa e risocializzativa, di rassicurazione per la società, di sostituzione della vendetta privata.

 

Di solito, gli scopi della pena vengono raggiunti?
Di solito non vengono raggiunti, perché nelle pena legale non vi è quasi mai un accompagnamento della persona punita nella riflessione e nel superamento delle difficoltà interne alla relazione con gli altri.

 

Quali motivazioni vivono verso il condannato il giudice che punisce e gli operatori preposti all’espiazione della pena?
Ciascuno ha una propria motivazione.

 

Esiste una pena ideale? Una pena coerente con il fine che si propone?
No.

 

Fra i tipi di pena e di applicazioni che esistono oggi nel nostro paese, quali ritiene più conformi agli scopi che abbiamo detto?
Tutti pensano alla detenzione.

 

Cosa si può fare per aumentare la probabilità che la pena raggiunga il suo scopo?
Accompagnare il reo in un effettivo percorso di crescita, di autoresponsabilizzazione, di considerazione per l’altro.

 

Quali sono le condizioni teoriche ottimali per raggiungere lo scopo della pena?
Piccoli gruppi di persone, seguite da operatori esperti nella comunicazione e nella educazione ai sentimenti e applicazione in attività socialmente utili.

 

Cosa si può fare in concreto in questa direzione ?
Allo stato attuale, nulla.

 

Quale tipo di relazione fra operatori e condannato è più confacente al conseguimento dell’obiettivo evolutivo o rieducativo della pena?
Un rapporto simile a quello tra Mentore e Telemaco.

 

Una pena che punti alla rieducazione può prescindere dalla motivazione del condannato. E allora, quali strumenti, quali condizioni ritiene che possano attivare tale motivazione?
Certamente tutto quanto può far nascere dei processi di empatia nei confronti delle vittime prima, di tutti gli altri poi.

 

A suo avviso, esistono delle alternative alla pena?
In maniera assoluta no. Si potrebbe però prevenire in parte la devianza imparando ad educare a riconoscere nell’altro qualcuno uguale a noi.

 

Parliamo dei punti di contatto, delle analogie e delle differenze che esistono fra la punizione nel rapporto genitori-figli e la pena inflitta dalla legge...
L’analogia è nell’intento educativo, la differenza è nell’affetto dei genitori e nella terzietà della legge.

 

Le pare che possa essere di qualche utilità il confronto fra queste due realtà?
Certamente sì nella enunciazione di pricipio, no nel desiderio di molti che pensano di non dover mai meritare un castigo.