Il potere dei biscotti |
Marta Sala | 23-06-2004 |
Durante un recente incontro al penale si è discusso di potere, di come lo si esercita sugli altri.
Dino ha scritto che il potere per lui già coesiste col fatto che respiriamo. Non è necessario che venga esercitato con la forza o che porti l’altro ad esserne fisicamente succube.
Livia ha parlato del modo in cui lei ha esercitato il suo potere non parlando, rendendo impotente l’altro per non permettergli di capire quello che le passava per la testa. Così facendo però riusciva ad attirare l’attenzione su di sé. Anche questa era una forma di potere.
Silvia esercita il suo potere quando impone le distanze da mantenere nei rapporti con le persone. Fabio parla del potere di cui Marcello si è impossessato decidendo di interrompere di punto in bianco il rapporto che stavano costruendo.
Per me il potere del silenzio è quello di evitare di dare parti di me. Ho sempre paura che certi miei pensieri possano servire a chi li sente per ferirmi in futuro. Così mi chiudo nella mia piccola gabbia con le grida mai urlate che mi rimbombano nelle orecchie. Mi convinco di essere invincibile e di bastare a me stessa. Mi godo la calma momentanea con già nella testa la prossima battaglia e in braccio le prossime armi.
Anch’io come Marcello, Antonella e Silvia mi arrogo il diritto di decidere quali distanze tenere nei rapporti, quanto in profondità arrivare e quando è il momento di staccare un po’ la spina. Mi viene naturale perché sono abituata a fare così con me stessa: trattarmi male, non darmi importanza e mettermi in stand by di tanto in tanto.
Mi sottraggo alla vicinanza diventando latitante, sicura che gli altri non soffrano la mia assenza. Parlando di questo col gruppo mi sono venuti in mente episodi ripetuti della mia infanzia in cui prendevo biscotti, caramelle, brioches, ecc.. dagli scaffali di casa e li nascondevo in camera dove diventavano una proprietà solo mia.
In questo modo mi appropriavo di pezzettini di me che sentivo mancanti, riempivo i vuoti con cibo che simboleggiava i miei genitori e il tempo non trascorso insieme che avrei voluto colmasse quei buchi.
Però nessuno si accorgeva del mio “furto”, o almeno nessuno chiedeva spiegazioni. Tutto finiva sotto silenzio e io mi guardavo bene dal tirare fuori l’argomento. Sarebbe stato come ammettere di aver avuto bisogno di qualcosa.
Col tempo, quando capitava che mi venissero chieste spiegazioni sulle misteriose sparizioni, ho cominciato a mentire negando le mie azioni. Non potevo aver preso io quelle cose, perché non mi servivano, perché io ero autosufficiente e non avevo bisogno di qualcosa che provenisse dai miei.
La sensazione di poter sottrarre qualcosa senza che gli altri se ne accorgano si è estesa anche alle mie relazioni col mondo: mi tolgo di mezzo, mi allontano, consapevole di non mancare.
Subito dopo subentra il senso di colpa per essermi nascosta e ciò mi porta a fare fatica a guardare negli occhi coloro verso i quali sento di aver sbagliato.
Ma comunque tutto passa sotto silenzio…