Un'ora d'aria |
Antonella Cuppari | 14-09-2004 |
“Per prendere colore”, dicono in carcere.
In realtà il colore della loro pelle pare confondersi con quello delle pareti, quasi che i detenuti possano dissolversi in quelle stesse mura, sparire.
“I mattoni di quelle pareti sono le stesse leggi per le quali loro sono finiti in galera. Sono il loro destino, la loro condanna.” (Armando)
E poi, perché un’ora d’aria? Perché solo una? Senz’aria si muore, allora per il resto della giornata in carcere questi detenuti sono morti? Vivono solo un’ora al giorno?
Eppure quelle figure non sembrano tanto apprezzare quel momento di “vita”. A testa bassa compiono in cerchio lo stesso percorso, calpestano l’ombra altrui; altri che sono uguali, uguali tra loro, uguali alle pareti. Ammazzano il tempo, invece di viverlo. Lo uccidono.
“Quelle farfalle sembrano le loro anime. Qualcosa di puro che sta svanendo.” (Armando)
Poi al centro di quella scena geometricamente chiusa, fatta di mura che contengono una circonferenza “umana”, una figura, diversa dalle altre, alza lo sguardo, spezza le geometrie. La sua testa non è bassa, non è schiacciata da un cappello. Accenna un passo in un'altra direzione, fuori dal cerchio, dalla morte della ripetitività.
Mi guarda. Il suo volto è triste, illuminato, depresso, interrogativo.
“Il rapporto tra chi guarda e chi viene osservato diventa a doppio senso di marcia”. (Cosimo)
“Mi stai guardando?”. Me lo chiede.
Quella domanda fa vibrare tutta la scena, tutto il pavimento, e le mura, la luce. Il quadro. Che ora respira, vive, mi interroga.
“Quel quadro mi turba. Non c’è neanche una linea retta, pulita. Che turbolenza.” (Diego)
Mi chiede se ci sono, se sono lì a guardare.
Ora mi trovo su un uscio, davanti all’ingresso di quel cortile, proprio sulla porta, (d’entrata o d’uscita?) o forse sono affacciata ad una finestra. Non posso dirlo con certezza.
Sono dentro e guardo quel personaggio.
Mi imbarazza il suo sguardo, mi inquieta.
Dalla sua testa si librano poi due farfalle, bianche.
“La farfalla, nella simbologia dell’arte ha sempre simboleggiato l’animo umano, la psiche”. (dott. Stefano Zuffi)
La ronda dei prigionieri, Van Gogh |
Farfalle. Sogni, desideri, speranze.
Dove volano quelle farfalle? Cercano di uscire dal labirinto? Dalla condanna? Dall’ora d’aria? Di morte?
Gli uomini, però, non possono volare, possono solo camminare, correre, nuotare e comunque affidarsi alla terra, alla carne, ai muscoli. Le ali delle farfalle sono la forza dei loro sogni, della loro vita, della loro natura umana, del loro desiderio di respirare.
Il carburante che permette a quella figura di rompere il cerchio, di interrogarmi.
Quel quadro trema, freme. Respira. L’ora d’aria di quella figura diventa ora un’infinità d’aria e di vita.
Il quadro vive perché comunica con l’osservatore di ogni tempo e di ogni luogo, con il mondo dei vivi.
Così io vivo se i miei occhi riescono ad interrogare i vivi, a dialogare con le persone vere che si possono “toccare”. Se rompo il cerchio, se smetto di guardare per terra e seguire i miei fantasmi, calpestando la loro ombra.
Così in carcere l’aria non è quella che si respira un’ora al giorno, con i propri pensieri, con lo sguardo basso, con le spalle curve, nell’uguaglianza che annienta.
L’aria è quella che si ricava dall’aprire le porte alle domande, al confronto. E’ cercare le risposte, lavorare, comunicare nella diversità dei colori.