Il viale di casa |
Enzo Martino | 18-08-2004 |
Mi trovo a camminare per una strada che non ricordo di avere percorso in passato. È una notte di pioggia. Cammino a testa bassa, il cappello non mi copre abbastanza, l’impermeabile, che non è d’ottima qualità, mi fa arrivare l’acqua fino a bagnarmi la pelle sotto lo strato di maglioni. Ho freddo e sono solo. Ogni tanto sento dei rumori che provengono dai cassonetti dell’immondizia: sono dei gatti che cenano con degli avanzi di cibo, oppure cercano dei topi per sfamarsi.
Stanotte siamo tutti alla ricerca di qualcosa. Lungo la strada intravedo un vecchio campanile con l’orologio che segna mezzanotte. Dopo qualche secondo ecco che comincia il suo rintocco, avverte che siamo nel giorno nuovo.
Già, il giorno nuovo, ma per chi? Ero imbarcato su una nave mercantile. Una grossa nave. Giravo il mondo, finché per il troppo girare ho dimenticato che avevo una casa e una famiglia. La partenza era avvenuta dieci anni fa. Ho lasciato due figli e una bella moglie, una principessa per i miei occhi. Adesso cammino e rimugino sul passato. I ricordi si accavallano. Penso a come saranno oggi i miei figli, due maschi. Saranno andati a scuola? Che carattere avranno? Cosa gli piacerà mangiare, da quale tipo di sport sono attratti?
Quante domande senza risposte. Devo ammettere che la colpa è solo mia. Il giorno che partii lasciai a mia moglie il mio recapito. Per i primi anni scrissi e ricevetti notizie. Poi, spostandomi di porto non comunicai più i miei nuovi indirizzi. Quante mancanze ho commesso nei loro confronti! Una fra tutte è stata non farmi più sentire. Credo che adesso non mi vorranno più rivedere; e se lo faranno hanno ragione. Cosa posso aspettarmi?
Piove a dirotto, continuo a camminare; mi prende l’angoscia, una domanda mi percuote la mente. E se quando arrivo a casa mi cacciano via? Questa domanda mi assilla. Intanto in lontananza sento il rintocco della campana: è l’una di notte e continua a piovere.
Van Ruisdael: Raggio di sole |
Ho lasciato i miei figli che il più piccolo non camminava, e il grande incominciava appena a conoscermi. Peccato! Che ingiusto sono stato! La mia unica giustificazione è che da qualsiasi porto, spedivo loro dei regali e delle foto, e dei soldi per mia moglie. Da quel punto di vista, però, non sono stato miserabile. Ho conosciuto tante persone, in giro per i porti, che hanno consumato il loro denaro senza pensare ai figli a casa. Certo, non è una giustificazione, mi aiuta solo a pensare e camminare.
Il temporale non cessa. Io continuo a pensare e camminare. Chissà se con la luce del giorno il tempo cambierà! Mi sorge il dubbio se la strada è quella giusta per arrivare a casa mia. Camminando, vedo alcune abitazioni con le luci delle camere accese, chissà chi ci abita, gente che sicuramente non è andata via come ho fatto io; persone, che formano delle famiglie per non lasciarle poi al loro destino. Sicuramente, avranno i loro problemi e, rimanendo uniti, riusciranno a risolverli.
Arrivo presso la mia casa, riconosco il vialetto, sempre uguale. Provo ad infilare la chiave nella serratura e, con mio grande stupore, gira. Rivoli di sudore scendono su tutto il corpo, ansimo come un ladro che sta per rubare. Entro. Non faccio rumore o almeno cerco di non farlo. Trovo una poltrona e mi siedo. Continuo ad avere paura. Paura della reazione della mia famiglia. Decido di salire le scale che portano su nelle camere dei bambini e di mia moglie. Mi affaccio e la vedo nel letto, un sorriso nel cuore mi fa riprendere dall’angoscia di prima. Guardo nella camera dei bambini e li vedo, osservo come dormono, sono belli. Mia moglie si sveglia sorpresa e mi dice tutta assonnata: ti aspettavo, sapevo che saresti ritornato. Mi metto a piangere come non ho fatto mai, senza ritegno, né vergogna. Mi abbraccia teneramente e prendendomi il viso tra le mani, mi bacia con la tenerezza della nostra prima volta. I bambini si sono svegliati, percependo nell’aria qualcosa di nuovo.
I giorni seguenti sono fatti di chiarimenti e spiegazioni. Ci vorranno tanti confronti, io dovrò ammettere i miei errori. Gli anni trascorsi lontano e la ragione per cui mi sono sottratto alla vita familiare saranno dolorosi da spiegare.
Senza una mia presa di coscienza vera, il ritorno a casa non basterà a riavvicinarmi alla mia famiglia. Credo che sia giusto, quando si prende coscienza delle proprie colpe, dichiararle senza remore e a viso aperto. È con questo atto di consapevolezza che potrò in parte riparare. Una nuova vita ci aspetta e insieme faremo molte esperienze ancora.