E se fosse il padre prodigo a non tornare mai? |
Dino Duchini | 12-07-2004 |
Guardavo il quadro di Rembrandt, cercavo di immaginare nel rapporto con mio padre il suo abbraccio dopo un mio colpo di testa; e il mio pensiero si è attorcigliato su chi tra mio padre e me avrebbe dovuto e potuto perdonare: una domanda destinata a rimanere senza risposta, visto che quando arrivò il tempo di porla mio padre è morto.
Non ho mai sofferto per la sua morte: credo che ero talmente deluso per la sua mancanza come padre, talmente rabbioso per la paura che la sua figura mi procurava, talmente frustrato dalla sua indifferenza nei miei confronti, che non ho avuto lacrime il giorno della sua morte.
Mio padre e mia madre si erano separati quando io avevo dodici anni, ho di quel periodo dei ricordi vivi, ben distinti; se mia madre non avesse lasciato mio padre io sarei di certo scappato da casa, questa era una determinazione netta nella mia mente già allora.
Mio padre tornò al suo paese d’origine, dove si lasciò definitivamente andare, fino a vivere come un barbone; io non lo andavo a trovare volentieri quando per le ferie tornavo giù al nostro paese.
Tutti avevano paura delle sue reazioni sopra le righe, ricordo che quando lui si avvicinava a casa nostra mia nonna si nascondeva portandomi con sé; a me metteva molta paura, ma anche mia nonna aveva dei buoni motivi per avere paura di mio padre, visto che in passato le mani addosso le aveva messe anche a lei.
Per tre anni le cose andarono più o meno in questi termini, quando ebbi quindici anni fui “costretto” ad andare da lui; a “costringermi” furono il mio orgoglio, la mia presunzione e la mia arroganza.
Andai giù al mio paese, gli feci sapere che gli volevo parlare e gli proposi di vederci; ricordo che contavo le ore e i minuti, e man mano che il tempo passava il mio terrore aumentava. Mia nonna non faceva che dirmi di lasciare stare, di non andare a parlarci… e poi un sacco di preoccupazioni per quest’incontro; io cercavo di rassicurarla, ma proprio non avevo le parole… ero io ad avere bisogno di qualcuno che mi facesse coraggio. Nonostante l’apparente calma a cui mi costringevo, dentro di me tremavo; la ragione per cui volevo parlargli, ad ogni secondo che passava, mi sembrava sempre più una richiesta alla quale lui mai avrebbe acconsentito, ma nello stesso momento la determinazione non si affievoliva, la convinzione di avere delle buone ragioni… ma più che altro la volontà di non essere vigliacco, m’impedivano di rinunciare.
Non ricordo nettamente le emozioni di quel momento, non riesco neanche a ricordare il momento in cui uscii di casa, tutto si confonde in quel breve cammino fino a casa della cugina di mio padre dove avevamo deciso di incontrarci… pochi metri, trenta forse, in cui mi sembrava di essere un agnello pronto al sacrificio!
Entrai, lui era già lì, mi sorrise… ma a quel sorriso io non credevo, lo salutai con finto affetto; mi domandò cosa gli volevo chiedere, io presi il coraggio a due mani e balbettai la mia richiesta, quasi come se gli stessi chiedendo chissà quale tesoro della terra, e in ogni caso aspettandomi la sua reazione violenta.
Ricordo solo che lui alzò un braccio… io reagii immediatamente, gli diedi un pugno nello stomaco, lo spinsi a terra e gli diedi tre calci… anche sul viso, mi fermai un attimo solo quando vidi il suo sangue macchiare il cortile della casa di sua cugina.
Non avevo detto una sola parola, lo avevo picchiato, ma d’altra parte mi ero difeso, era lui che voleva picchiarmi… lo guardai e gli dissi che se l’avessi incontrato nuovamente l’avrei ammazzato, non ricordo la sua faccia… ho in mente solo quel corpo ormai esile alzarsi da terra sotto l’effetto dei miei calci, mi girai e andai via… senza aspettare null’altro.
Non rividi più mio padre per due anni, ricordo che quando andavo al paese lui evitava di farsi vedere da me, ed io evitavo di passare davanti a casa sua. A quei tempi andavo al lago Trasimeno e, pur di non passare davanti a casa sua, facevo una strada più lunga, la rabbia era ancora tanta e per nulla sbollita. Questo non faccia pensare che andavo orgoglioso del mio agire, mi vergognavo di quello che avevo fatto, ma sono certo che, nonostante questo, il solo dialogo per me possibile con lui era quello della violenza.
Un giorno tornando dal Trasimeno decisi di passare per la strada dinanzi a casa sua. Non fu una scelta ragionata. era l’otto d’agosto del 1977… arrivai a casa sua, rallentai con la mia motocicletta, una Harley Davison 250 cc. comprata con il mio lavoro di cameriere, lui era lì… seduto davanti casa, lo vidi alzare lo sguardo, mi accorsi che mi aveva riconosciuto… stavo dando gas per allontanarmi, soprattutto per evitare un scontro, ma lui attraversò rapidamente la strada e si mise davanti a me.
Mi fermai… lo guardai in faccia, non avevo paura, mi sentivo forte delle mie ragioni, oltre che della mia prestanza fisica, lui mi sorrise pur essendo accigliato, mi disse che mi voleva parlare… che aveva delle cose da dirmi…
Il mio mondo cambiò, in quel momento vedevo mio padre come non l’avevo mai visto, non solo perché appariva indifeso, ma perché per la prima volta mi sembrò che s’interessasse di me, lui per la prima volta chiedeva qualcosa a me.
Gli dissi che andava bene, ma che quella sera era troppo tardi… mia nonna mi stava aspettando a casa, gli dissi che l’indomani sarei andato a prenderlo a casa sua e saremmo andati a mangiare fuori insieme, ricordo che lui mi disse di sì e commentò: “mi farà molto piacere passare il mio compleanno con te”.
Il giorno dopo sarebbe stato il suo 44° anno d’età, mi tornò in mente in quel momento… e sorrisi, lo salutai e ripartii con la mia motocicletta, su cui cominciava ad esserci un altro Dino.
Quella notte fu insonne, rivedevo la scena di quando l’avevo pestato, non mi sono ricordato per un solo momento le botte tremende che lui mi aveva sempre dato prima di separarsi da mia madre, era come se tutti quegli episodi non fossero mai avvenuti.
Per la prima volta rivedevo la scena in cui gli avevo dato il primo cazzotto, un dubbio cominciava ad espandersi nella mia mente… ma quando lui aveva alzato il suo braccio… ecco io non ero più sicuro che con quel gesto stesse per picchiarmi.
Arrivò la mattina, feci colazione, non dissi nulla a mia nonna… non volevo si preoccupasse, e non volevo sentire i suoi rimbrotti, ero teso… continuavo ad andare avanti e indietro con la motocicletta per il paese, finalmente arrivò l’ora dell’appuntamento e puntai deciso verso il paese di mio padre, otto chilometri mi separavano da lui.
Molte erano le domande che affollavano la mia mente, mille “perché” lunghi diciassette anni, quelli che avevo io nel 1977, ricordo l’aria fresca sulla mia faccia, l’entrata nel paese di mio padre, poche centinaia di metri… arrivo di fronte a casa sua, di fianco c’è un bar di cui sono proprietari dei nostri mezzi parenti.
Scendo dalla motocicletta, vado al bar… credevo mio padre fosse lì, non c’era… bevo un caffé e chiedo se l’avevano visto, mi dicono di no, che sarà in casa perché quella mattina non l’avevano ancora visto.
Esco… arrivo davanti alla porta, suono, aspetto… nulla, suono ancora, aspetto… niente, cinque, dieci, quindici minuti, comincio a preoccuparmi, torno nel bar… viene anche il proprietario, lui è certo… mio padre è in casa, bussiamo ancora, niente… do uno spintone alla porta, un altro ancora e poi una spallata… si apre.
L’odore acre di una casa sporca mi prende alla gola, le scale di fronte a me, salgo… chiamo mio padre più volte, nessuna risposta, conosco quella casa, il salotto, la cucina e poi la camera, l’odore sempre più acre, la luce del sole che filtra dalle tapparelle… lui non c’è, entro nella camera e lo vedo… il suo corpo sul letto, sopra le coperte, penso che sta male, che è svenuto… mi avvicino con il mio mezzo parente, lo scuotiamo… nessuna reazione, gli tocco la fronte è ghiacciata… mio padre è morto.
Non riesco a parlare, mi siedo, lo guardo… su quel letto miserabile, il volto accigliato, i segni della sofferenza nella sua smorfia… non riesco a parlare, non ricordo quanto tempo è passato, ma ora la casa è piena di gente… e poi tutto il resto.
Il prossimo otto agosto saranno 27 anni che è morto, tutti i miei perché sono rimasti tali, da allora il rimorso e il pentimento della mia violenza non mi hanno mai abbandonato, nonostante questo non riesco a pensarlo con amore.
Nel 1987, dieci anni dopo la sua morte, fu necessario disseppellirlo, bisognava alloggiare i suoi resti nelle così dette piccionaie; volli esserci, credevo mi servisse a capire: quando arrivarono alla bara con la scavatrice, la macchina si ruppe, le ossa andarono un po’ da tutte le parti nella buca, scesi dentro a recuperarle, le misi nella teca, il suo teschio, le altre ossa… mi colpirono i calzini che aveva indosso alla sua sepoltura… calzini da poveri, ma evidentemente molto resistenti, visto che erano intatti, li presi in mano e dentro tutte gli ossicini del suo piede.
Non so se dentro di me tutti questi miei tentativi sono bastati a capire, non so se sono riuscito a perdonarlo dentro di me, credo di no… in quanto ancora oggi il pensiero di quei giorni non è compiuto, non ha un senso… e ancora sfugge alla mia comprensione tutta l’esperienza della mia vita con mio padre.
Quando ripenso alla sua morte nei momenti brutti della mia vita, sarcasticamente mi rivolgo a lui dicendogli che fino all’ultimo ha voluto farmi del male, in altri momenti me la prendo con me stesso per non essere stato capace d’essere figlio suo, in altri momenti ancora rifiuto le poche spiegazioni semplici che mi sono dato, faccio ipotesi d’ogni tipo, ma ciò che conta credo sia che tutto questo mi mantiene in uno stato di confusione per quanto riguarda il mio passato.
Ho verso di lui un senso di rispetto umano, per le sofferenze che nella sua vita ha passato, in ogni modo credo avesse le sue ragioni per comportarsi come si comportava, oggi non sono più tanto sicuro né dei suoi torti né delle sue ragioni, ho l’impressione che molte siano le cose che mi sono state nascoste, e forse è meglio così. Non riesco a sentirmi una vittima e quella macchia sulla mia coscienza di averlo picchiato complica molto tutto quanto, anche se temo che nel mio caso non ci sarà mai una spiegazione!