Quella volta che mio padre tornò a casa

Ahmed Lourakit

18-12-2004  

I cani abbaiarono poco prima di mezzanotte e mia madre si alzò per guardare fuori dalla finestra. Era una notte di pioggia, due settimane prima del Ramadan.

Il vento era calato, ma lo sentivo ancora fischiare sulle tegole di casa; era una tipica notte invernale che rendeva più piacevole lo starsene nel letto al caldo.

Nell’ingresso di casa, mia madre teneva sempre un lume acceso per la notte, diceva che così vedeva meglio ciò che accadeva fuori. Ricordo che i cani guairono e abbaiarono più del solito. Pensai che soffrivano nel passare la notte incatenati; d’altra parte, se fossero stati lasciati sciolti avrebbero morso la gente che passava di lì. Era meglio così, anche per il mio vecchio; altrimenti lo avrebbero morso come una persona che non avessero mai annusato in vita loro.

E’ proprio lui” disse mia madre, battendo la chiave della porta sul davanzale. Non era più arrabbiata del solito, ma quando batteva sul davanzale con la chiave, questo era per me sintomo sufficiente a farmi capire il suo stato d’animo.

Un tonfo scosse la casa, come se qualcuno volesse buttare giù i pilastri di sostegno con un martello. Compresi che era mio padre che, nel buio, controllava i gradini per vedere se lo reggevano: aveva paura che qualcuno gli avesse preparato una trappola per quando sarebbe tornato a casa. Stava tornando a casa… in quel modo, una volta di troppo.

La porta si spalancò, per poco il vetro sopra il battente non si ruppe, ma il mio vecchio non badava a cose come al vetro d’una porta o al mobilio di casa.

Non lo avevo mai sentito combinare un simile baccano, spiccava salti davanti all’ingresso come per vedere se gli riusciva di fare sprofondare il pavimento.

Tutti i quadri alle pareti oscillarono, qualcuno rimase storto. Mia madre accese la luce e andò in cucina, mentre il mio vecchio respingeva a calci le sedie da una estremità all’altra della stanza. A un tratto s’interruppe e disse a mia madre: ti presento Zahra.

La porta della mia stanza si aprì di cinque centimetri, io mi alzai sulle ginocchia e sui gomiti per vedere meglio cosa stesse accadendo, fu una grossa sorpresa per me vedere che mio padre portava in casa una ragazza molto più giovane di mia madre.

Guardavo impietrito, non dissi nulla, capii che era una faccenda seria, non avevo mai visto il mio vecchio e mia madre, affrontarsi senza spiccicare una parola, ricordo d’aver pensato in quella occasione, che qualche volta Allah non avrebbe dovuto mettere al mondo più d’una donna per volta. 

 

 

Mia madre era fuori di sé; si vedeva chiaramente. A un tratto agguantò la scopa poggiata al caminetto e si lanciò contro di lui, lo percosse fino a rompere la scopa e allora smise. Era così furibonda che non sapeva più quello che faceva, urlava dicendogli: “che razza di figlio posso tirare su quando succedono simili cose?”. Non aspettò la risposta e cominciò a prepararsi la valigia per andarsene per sempre.

Non ho mai sentito un chiasso come quello che fecero i cani quando il mio vecchio iniziò a urlare, e a prendere a calci l’armadio. La gente che li aveva sentiti pensò che dei ladri ci stessero assassinando tutti quanti.

Io m’infilai di nuovo sotto le coperte, piansi per tutta la notte abbracciandomi le ginocchia più forte possibile, sperando che l’indomani mia madre sarebbe tornata, ma non fu cosi quella volta.

Oggi vive in Francia con mia sorella e mio fratello, lontano dal Marocco e dal mio vecchio, ed io di notte quando sento abbaiare i cani che sono qui intorno a San Vittore ricordo con amarezza quanto fosse bello per me starmene li, al buio con mia madre, aspettando per l’ennesima volta che il mio vecchio ritornasse a casa.