Caravaggio in galera

Laura Forno

13-07-2010  

Una raccolta di brevi racconti, ispirati dalla visione guidata di un quadro, scritti dai detenuti di San Vittore, che affrontano le tematiche più profonde della psiche umana: i rapporti familiari, i ricordi dell’infanzia, dolori, lutti e separazioni, che diventano una terapia per chi sta in carcere per superare i propri disagi e per cercare un reinserimento all’interno della società civile.

"Caravaggio in galera", di Stefano Zuffi, ed. ARPANet (www.edizioniarpanet.it) è un libro che affronta la difficile tematica della detenzione e dei problemi che comporta, attraverso una chiave di lettura molto particolare: la funzione liberatoria dell’arte. Zuffi, classe 1961, storico dell’arte, curatore di mostre e di collane di libri, affianca gli psicologi del Gruppo della Trasgressione - fondato nel 1997 insieme a una ventina di reclusi di San Vittore, per promuovere, attraverso dibattiti, riunioni ed esperienze artistiche, le condizioni nelle quali un detenuto può interrogarsi sulla propria storia senza accontentarsi di risposte scontate - durante il percorso di riabilitazione esistenziale che segue spesso chi vive in carcere.

In seguito alla specifica richiesta di un detenuto, il professore, qualche anno fa, inizia a incontrare i reclusi e a guidarli nella visione di alcuni dipinti: dalla Tempesta del Giorgione alla Ronda dei Carcerati di Van Gogh, passando per la Vocazione di San Matteo, il Martirio di San Matteo e il Narciso del Caravaggio e il Ritorno del Figliol Prodigo di Rembrandt. Le brevi narrazioni prendono spunto dai quadri ma raccontano storie, esperienze di vita, semplici ma spesso toccanti e sono state raccolte nel corso degli anni nel sito www.trasgressione.net.

Quando è perché le è venuta l’idea di raccogliere in un libro i commenti dei detenuti?
“L’idea del libro non è esattamente recente, da qualche tempo era in preparazione. Gli incontri nel carcere di San Vittore mi hanno dato lo spunto: il Gruppo della Trasgressione, attivo già da tempo, si è aperto al campo dell’arte quando, per caso, un detenuto ha trovato sul web l’immagine della Tempesta di Giorgione ed ha chiesto ad un volontario se conoscesse qualcuno che potesse dargli informazioni sul dipinto. Così hanno pensato a me e, circa tre anni fa, sono stato inserito all’interno del progetto”.

Come è stata la sua esperienza all’interno del Gruppo della Trasgressione?
“Sono stato inserito all’interno dell’attività subito, partecipando agli incontri che si tenevano sotto la supervisione di uno psicologo, insieme ai detenuti e agli studenti di psicologia tirocinanti. La caratteristica degli incontri era quella che chi partecipava doveva dare un contributo a qualsiasi titolo, le discussioni erano molto coinvolgenti: spesso duravano anche quattro ore. In genere, ricevevo una richiesta dallo psicologo o dai detenuti per commentare l’iconografia di un immagine o il tempo della sua creazione. Una volta che dato le indicazioni di massima sul quadro, più o meno tutti i partecipanti esprimevano le loro opinioni, sollecitati dalla visione del dipinto”.

Con che criterio ha scelto le opere da mostrare ai carcerati?
“In realtà non è esistito un vero e proprio criterio di scelta per la scelta delle immagini, alcune volte sono state espressamente richieste, come la Tempesta del Giorgione, ad esempio, altre volte sono stati dati dei temi e ho portato le opere più adatte da visionare”.

Da dove provengono i racconti all’interno del libro, in quanto tempo sono stati raccolti?
“Tutti questi racconti sono narrazioni di esperienze, di ricordi che affiorano in concomitanza con la visione delle opere, in parte erano già stati raccolti, attraverso il sito del Gruppo della Trasgressione, sotto la supervisione della dottoressa Livia Nascimben”.

 

Caravaggio in galera e Stefano Zuffi

 

 

Quale è stata la risposta alla proposta di questi capolavori ai carcerati?
“Ho provato un’ assoluta sorpresa e felicità nell’osservare l’accoglienza dei dipinti da parte dei detenuti: durante la visione de Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, ad esempio, ho notato con stupore che l’attenzione del mio pubblico si rivolgeva soprattutto alle figure marginali del quadro. Mi sono chiesto il perché di tutto questo interesse, poi ho capito che era dovuto al fatto che questi sono personaggi giudicanti, e che per loro questa tematica era qualcosa di molto difficile da affrontare e molto delicato. Le reazioni davanti a certi capolavori erano molto esagerate, in certi casi sopra le righe, ma tendenzialmente spontanee e sincere. Non è così frequente trovarsi davanti all’arte senza schemi convenzionali, senza un atteggiamento di sussiego. Per me è stata un’esperienza dal bilancio assolutamente positivo. Penso che sia un privilegio avere questo tipo di rapporto quasi fisico con le opere d’arte, inteso cioè non come un passatempo culturale, ma come un incontro inaspettato. Un momento toccante c’è stato quando un detenuto che non conoscevo, durante un incontro, inaspettatamente e senza nessuna premessa, mi ha detto: La ringrazio perché attraverso l’arte ho scoperto di avere dentro di me qualcosa che non conoscevo: i sentimenti”.

----------

Link utili:

L'articolo originale di Laura Forno

I libri Feltrinelli di Stefano Zuffi

Altri libri di Zuffi

Libreria unilibro

Il blog di Zuffi