I miei obiettivi col gruppo |
Ivano Longo | 21-12-2003 |
Quello che voglio dal mio gruppo della trasgressione, è di potere studiare per comprendere quali possano essere i meccanismi che portano alla devianza. Questo nella speranza di potere lavorare sul mio modo di pensare e di agire e mantenerlo conforme ad un comune agire sociale, anche quando dovessi trovarmi in difficoltà, siano esse morali o pratiche. Quindi e nonostante la difficoltà di essere un ex detenuto, potermi fare riconoscere, non solo come persona incline alla devianza, ma come individuo capace di affrontare qualsiasi argomento la società stessa proponga.
Quello che sto cercando di fare è semplicemente la conoscenza di me stesso, nel senso che il mio passato criminale è fuso tra motivazioni diverse. Infatti, non so neanche io quanto le mie scelte devianti siano state dovute alla “necessità” di procurarmi la droga, oppure abbiano delle motivazioni intrinseche alla mia personalità. Certo è che nella droga cercavo il riempimento di quel vuoto interiore che m’impediva di distinguere il giusto dallo sbagliato.
Sono consapevole che nelle mie devianze una causa fondamentale è stata la mia sensibilità in rapporto alla mia famiglia, sensibilità che non ho saputo esprimere né ai miei genitori prima, né ai professori delle scuole, né alle amicizie che ho scelto man mano che crescevo.
Con questo gruppo ho iniziato a studiare, a conoscere concetti nuovi, esperienze nuove e diverse dalle mie, questo è avvenuto sia con gli studenti sia con i miei compagni detenuti, quindi l’obiettivo del gruppo è di studiare sia le mie devianze sia quelle degli altri.
Soprattutto mi piacerebbe che le mie esperienze possano servire ad altri che in futuro si possano trovare nelle stesse condizioni particolari in cui mi sono trovato io, certo nella speranza che essi non facciano le mie stesse scelte.
Gli strumenti che abbiamo sono quelli del confronto delle nostre emozioni, confronto che avviene attraverso gli scritti da noi prodotti e che di volta in volta approfondiamo, scritti che vengono presentati anche dagli studenti universitari che ormai sono parte integrante del gruppo.
Questa fusione dimostra come delle parti così diverse della società siano riuscite a creare una comunicazione ormai stabile e proficua. Tuttavia lo strumento che più ci consente di eseguire il nostro lavoro è la riflessione sulla nostra esperienza, portata avanti con onestà e sincerità, e “usando” gli altri come specchio, uno specchio in cui trovare la misura di noi stessi.
Ricostruire alcuni passaggi delle nostre scelte ci dà la possibilità di non crearci finti alibi per i nostri comportamenti futuri, qualunque essi siano.
Questo ci permette anche di confrontarci con quello che sentiamo “vero e falso”, nel senso che quello che può essere vero per una persona può essere falso per l’altra o quello che sembrava vero ieri appare falso oggi e viceversa. Come diceva quella canzone: tutto dipende da che parte guardi il mondo.
Se ascoltiamo quello che abbiamo dentro, inteso come la voce dell’anima, credo che il vero o il falso vengano alla luce automaticamente, qualunque cosa abbiamo commesso o cerchiamo di interpretare.
Secondo la teoria del caos, una piccola onda può generare, sulla distanza, effetti non immediatamente prevedibili: questa esperienza dell’onda, a volte drammatica, che si determina nell’età dell’infanzia o in quella adolescenziale, ci porta a credere che il “mio vero” possa essere diverso da quello degli altri.
Al di là delle mancanze caratteriali di ciascuno che possono portare a scelte e comportamenti devianti, io credo che, nella società di oggi, un forte stimolo alla devianza sia il grosso divario tra gli individui, nel senso che, in questa società di “status simbol”, il non poterseli permettere comporta una forte emarginazione e una grande difficoltà di risalita verso il suo centro. Gli effetti spesso si fanno sentire anche nella sfera psicologica e morale, diventando una specie di stimolo all’abbassamento dei propri principi etici.
Io credo che, il più delle volte, il comportamento deviante sia favorito dalla frustrazione di non potere avere quello che l’altro ha. Questa condizione viene sentita spesso come un’umiliazione di fronte ai propri compagni; e allora scatta dentro “il voglio”, senza però voler fare dei sacrifici. Ma non è solo questo, perché se ad un bambino o ad un adolescente si spiega che, per ottenere quello che desidera occorre conquistarselo, il ragazzo, anche se condizionato dai suoi conoscenti, capirà probabilmente che questa è la strada giusta.
In questo ci possono aiutare molto i confronti che facciamo con la società civile, alla stessa maniera di come procediamo nel nostro gruppo, cioè misurarci e specchiarci tra noi come si è detto sopra; in questo modo possiamo avere la misura di alcune differenze che, attraverso la riflessione, potrebbero condurci ad una migliore comprensione dei motivi delle scelte devianti.
Oggi ritengo sia molto importante farsi conoscere come uomo detenuto, proprio per la situazione di uomo “chiuso”, ma non limitato; blindato dietro un cancello ma libero di potersi esprimere, studiare, conoscere. Il mio obiettivo è confrontarmi, non più come un delinquente fine a se stesso e quindi pronto a riconfermare di volta in volta il proprio stato di uomo deviante (anche quando la società fosse in condizioni di agevolarne l’inserimento), ma come uomo consapevole della propria posizione nella società. La nostra esperienza, a parer mio, non è da sottovalutare, proprio per il valore che essa può avere nel contribuire alla crescita nostra e della società stessa, anche come risoluzione di problemi antecedenti e attuali collegati alla stessa devianza.
Gli incontri che il gruppo della trasgressione ha effettuato fino ad ora all’interno del carcere con quella parte della società che ha paura e che giudica è un fatto eccezionale. Unico per gli argomenti trattati e unico per i risultati che vediamo su noi stessi, come lo stimolo a voler capire e riallacciare quel divario creatosi in molti casi sin dall’infanzia tra noi e le autorità, dove per autorità non si intende solo quella del genitore.