Uno spicchio di sole |
Gabriele Tricomi | 09-03-2010 |
Quando ero piccolo mia madre mi faceva il bagno in una vasca di plastica nella quale versava circa venti litri d’acqua fredda mischiata con acqua scaldata da una cucina a legna. La cucina serviva per cucinare, ma anche per tenere calda la casa che era vecchissima. Ricordo ancora quando il crepitare della legna era accompagnato dal ritmo proveniente dai tanti secchi usati per raccogliere le gocce che ci piovevano dentro.
Messi in questa vasca, a turno, ci lavavamo; prima le femmine e poi i maschi e, considerando che tutti eravamo sette, tre femmine e quattro maschi, il turno d’attesa era lungo. Mia madre, per risparmiare acqua, lavava prima le femmine e poi noi, visto che, per come e con cosa giocavamo, eravamo sempre neri come il carbone. Con l’acqua delle femmine lavava due di noi. Le femmine, che avevano tutte i capelli lunghi, per asciugarseli usavano il phon, mentre noi maschi venivamo quasi costretti a rimanere al sole fino a che non si fossero asciugati i capelli; quella sorta di panchina che ci ospitava dava proprio sulla strada, dove passavano ancora le bestie e l’uomo col fucile sulle spalle... e la giovinezza che sembrava non finire mai.
Quel sole emanava raggi di curiosità, noi tutti ci chiedevamo perché i nostri capelli dovessero asciugare al sole e non come quelli delle femmine. La risposta l’ho sempre saputa, ma non mi piaceva essere povero e allora la chiedevo a mia madre, pur se la risposta era ovunque per le strade del paese dove vivevamo tutti allo stesso modo.
Oggi dalla cella ho visto uno spicchio di sole. Poco dopo tutte le persone che vivono con me sono uscite dalle celle… e io mi sono trovato a ricordare la mia vecchia casa. Per tutto l’inverno, in quella sorta di vasca da bagno che noi chiamiamo passeggio, ero quasi sempre solo e mi sembrava di fare il bagno da solo, accompagnato solo dalla musica della radiolina e dalla mia rabbia.
Ma stavolta non sono uscito al sole, ho preferito scrivere al magistrato che nei giorni scorsi ha rigettato la mia richiesta di permesso. Il rigetto era così motivato: “non emergono motivi a sostegno”.
Il magistrato nella mia richiesta non ha trovato motivazioni; in effetti, io avevo scritto: motivazioni ne avrei tante, ma lascio a voi il compito di rintracciarle; io posso solo dire che sono stato arrestato a 24 anni per un reato commesso quando di anni ne avevo 19 e ora ne ho 40.
Adesso voglio aggiungere che, se non ho scritto le motivazioni, è perché qui dentro spesso non si pensa troppo alle cose che si vorrebbero. Per come sono fatto io, morirei ogni giorno. Oggi però quello spicchio di sole mi ha fatto tornare bambino e quindi a quel magistrato potrei forse chiedere un permesso riferendogli la motivazione che avevo tenuto segreta: asciugarmi i capelli al sole.