Ho visto degli uomini con le scarpe nuove

Manuela Re

18-01-2010

Stamattina ho ricevuto e a mia volta ho scritto delle e-mail sull'evento di cui è stato protagonista il Gruppo della Trasgressione nel carcere di Opera (Concerto “La nicchia, la crosta e il rosmarino”, 17 gennaio 2010). Tutti noi che vi abbiamo assistito ieri, abbiamo avuto oggi l’urgenza di commentarlo. Abbiamo anche chiesto ai membri del gruppo esterno di riportare i nostri complimenti ai membri del gruppo interno, ossia ai numerosi detenuti intervenuti nello spettacolo.

Adesso però sto pensando che sia più giusto prendermi la briga di farlo di persona attraverso un breve scritto (breve se ci riesco!). Mi rendo conto però che, almeno nel mio caso, si tratta di complimenti interessati: io ho bisogno di credere negli uomini. Ogni prodotto degli uomini, artistico o scientifico o sa il cavolo, in grado di alimentare questo “credo” MI SERVE.  Desidero perciò ringraziare i detenuti per quello che ho visto.

Sul palco del carcere di Opera ho visto innanzitutto avvicendarsi degli uomini, uomini che usano il pensiero. La potenza del pensiero di solito non si vede, come la libertà e tante altre belle cose immateriali, ma non per questo è meno maestosa; quando ti capita di incontrarla, o quanto meno di intuirla, ti fa un sacco piacere.

Poi ho visto uomini che portavano ai piedi scarpe nuove. Le ho guardate tutte le scarpe dei detenuti che salivano sul palco, dove si accingevano a offrire a noi pubblico parti di sé faticosamente pensate e messe in parole. Ascoltavo queste parole “pesate”, guardavo gli occhi che brillavano di chi le diceva, mi emozionavo quando si rompeva un po’ la voce, sorridevo alle battute umoristiche che di tanto in tanto arrivavano, osservavo i piccoli movimenti dei corpi e la dignità che li permeava, sentivo la sofferenza del percorso e la gioia della scoperta -che anche lei, questa gioia, ha un peso specifico non indifferente e piega un po’ le spalle di chi decide di farsene carico, con le responsabilità che comporta-.

Mi sembrava quasi di vedere concretamente la fatica del lavoro fatto su se stessi insieme ai compagni, il dolore della consapevolezza e, insieme, la gratificazione connessa all’uso del pensiero. Partecipavo sentitamente. E intanto ero anche colpita dalle scarpe che indossavano questi uomini detenuti: calzavano scarpe invernali di fogge e colori diversi, ma erano tutte ugualmente nuove. Mi accorgevo che erano scarpe mai uscite dai recinti del carcere, che non avevano affrontato la neve e la pioggia degli ultimi giorni, che non erano finite sotto il divano a impolverarsi o nelle cucce dei cani domestici, che amano leccarle a prescindere dalla puzza che fanno. Erano scarpe dure e probabilmente ancora un po’ scomode, perché tutte le scarpe nuove all’inizio costringono i piedi e fanno muovere in modo un po’ goffo. Poi, cammina per andare al lavoro oggi, cammina per fare una passeggiata domani e per fortuna le scarpe nuove si ammorbidiscono e i piedi si sentono a casa loro. Ma queste scarpe qui che io vedevo salire sul palco avevano appena cominciato a camminare e non potevo immaginare quanta strada avrebbero fatto.

Mi chiedevo come se la sarebbero cavata fuori, per strada, nel mondo insomma. Saranno scarpe abbastanza resistenti? Saranno adatte per farci tanti chilometri a piedi? Perché io, per esempio, ho nello sgabuzzino un paio di stivali incredibilmente belli, ma piuttosto scomodi per la vita di tutti i giorni. Una mia amica mi ha detto che è una questione di tacco: sarebbe troppo alto per me che non sono abituata a svettare su 8 centimetri. Dovrei rassegnarmi, a sentir lei. Eppure io sono convinta che è una questione di allenamento.

Anche i pensieri nuovi hanno bisogno di allenarsi in palestra. E il Gruppo della Trasgressione nelle carceri milanesi, come ha sottolineato Giacinto Siciliano, stimato direttore della Casa di reclusione di Opera, “è un’opportunità che viene offerta (…) un’occasione di crescita per tutti quanti”. I concerti e i convegni aperti alla popolazione carceraria e a tutti i cittadini liberi rappresentano un momento di incontro importante, anzi indispensabile, secondo me, per un confronto adulto senza il quale i pensieri rischiano di diventare sterili prima ancora di crescere. Non solo i pensieri neo-nati in carcere, ma anche quelli cresciutelli che circolano in giro, più o meno nobili, più o meno impastoiati in pregiudizi e clichè che lasciano il tempo che trovano; anche i nostri pensieri di uomini che non siamo mai stati reclusi in carcere hanno bisogno del confronto per svincolarsi da semplificazioni troppo facili, spesso di stampo difensivo, comunque fallimentari.

Mi viene in mente quest’idea che sta circolando in Italia di costruire altre carceri senza pensare a un programma d’intervento più lungimirante. Mi ricordo anche i recenti slogan di “città più sicure con le ronde” e le statistiche disastrose sulla delinquenza, anche minorile. Penso da un lato alla grave recidività di coloro che scontano tutta la pena in carcere e dall’altro ai risultati decisamente più incoraggianti nel caso di applicazione di misure alternative. Ma qui entro in un campo che non è il mio: io mi occupo di ricerche di mercato, non di criminalità, né di trovare soluzioni politiche per una serena convivenza. Mi rendo conto che i pensieri più complessi sono poi i più difficili da attuare e se fossi al posto dei politici, dei legislatori o dei professionisti che lavorano in carcere non saprei sicuramente fare di meglio. Tuttavia, pensare è anche il “mio campo”, come quello di tutti gli uomini. E allora penso che bisogna allenare il pensiero fino a sfinirsi, fino a individuare idee utili dalle quali, prima o poi, possano germogliare soluzioni alternative.

Dunque, grazie agli uomini del gruppo della trasgressione che mi hanno offerto domenica nuovi pensieri e grazie a coloro che da oggi li stanno ri-pensando all’esterno, portandoli a spasso come fossero scarpe nuove da collaudare. Proverò a mia volta a camminarci dentro, con la speranza di ammorbidirli perché -questo è indubbio- con le scarpe comode si fa più strada! Il problema è che senza allenamento i tacchi risultano ostici. Ma se poi ti ci abitui a pensare in grande, vai che è un piacere, e il terreno guadagnato è una risorsa per tutti.

“Le belle scarpe nuove calzate dai detenuti” -meditavo tra me e me mentre seguivo lo spettacolo- “non usciranno certamente da qui quest’inverno e nemmeno il prossimo e forse non usciranno mai”. Questo pensiero mi dava dolore, sentivo salire uno strazio inconsolabile, pronto a sconquassarmi. Poi, però, riflettendo ho capito che i pensieri nuovi sarebbero potuti uscire con noi dal carcere di lì a poco, insieme alle emozioni espresse dai detenuti e dagli astanti. Le persone che parlavano dal palco, con le loro scarpe intonse, mi stavano facendo capire la grandezza degli uomini e del pensiero. Credere negli uomini, come ho già detto, è quello di cui ho bisogno.

“Una bella iniezione di ottimismo della volontà” è la sintesi un po’ paradossale della giornata di domenica fatta da Ippolito, mio amico e chitarrista della Trsg.band; in effetti, ci siamo portati via dal carcere di Opera un concentrato di fiducia verso i nostri simili. Speriamo di averne lasciata dentro una quantità equiparabile.

“Timbrare il tempo per esserci” è una frase che Avanzini, professionista e membro esterno del gruppo Trsg., ha sentito pronunciare ieri da un detenuto, il signor Carnovale.  Adriano ha raccolto questo motto e lo sta facendo circolare all’esterno, con il nome dell’autore: lo ha già scritto oggi, lunedì, nelle sue mail e non mi sorprenderei se nel prossimo futuro lo trasformasse in materia e colore in uno dei suoi quadri.

Sua moglie Vittorina, seduta vicino a me in platea, ha ascoltato le mie prime considerazioni a caldo e mi ha dato la netta impressione di comprenderle, malgrado fossero ancora fragili e confuse. Si vede che il suo lavoro di restauratrice, oltre alla sua profonda sensibilità, l’ha allenata a dare valore ai piccoli frammenti. Che roba magnifica quando ti senti accolto e capito! Dopo l’esperienza di domenica, siamo più amiche.

Livia non stava più nella pelle domenica sera e proprio non riusciva ad andare a dormire se prima non inviava una mail a tutti gli amici del gruppo della trasgresssione: “Siete contenti? A me è molto piaciuto oggi il concerto e la fusione con gli interventi dei detenuti”. Chissà quante altre cose ha pensato camminando su e giù nella sua casetta nuova (me la vedo!) insieme ad Alessandro, prezioso alleato delle sue conquiste sul campo e sempre presente nei momenti topici del gruppo.

Silvia sul palco credeva così tanto in quello che stava facendo e nei suoi compagni di lavoro da risultare contagiosa al primo sguardo. Quando alla fine si è dichiarata “molto soddisfatta di quello che abbiamo fatto insieme” diceva la verità. Si concedeva tutta la verità e nient’altro che la verità.

“Quando tutti i detenuti sono saliti sul palco ho provato un'emozione fortissima!!!” ha scritto oggi Tiziana, dando voce a quello che tutti i presenti volevamo dire da subito, compresi i tre punti esclamativi perché, non c’è regola di punteggiatura che tenga, uno solo non sarebbe bastato!!!  

La sigr.ra Maria, entrata per la prima volta in carcere a quasi 86 anni per assistere al concerto della sua band preferita, mi ha detto di provare stima per le persone che avevano parlato, le quali, dopo pesanti sbagli, erano state capaci di riflettere e di rimettersi in gioco. Si augurava che le famiglie dei detenuti e la società tutta potesse farne tesoro. Ha usato più volte la parola commovente per descrivere l’evento e io non penso ci sia dietro solo un “cuore di mamma”; credo piuttosto ci sia la constatazione di quale gran cosa possa essere l’uomo. 

 

Milano, 18 gennaio 2010

Consegno questi fogli al coordinatore del Gruppo della Trasgressione prof. Angelo Aparo perché li legga, se crede, agli altri diretti interessati. E aggiungo che senza di lui non avrei mai esplorato il territorio del carcere e numerosi altri territori oscuri dentro di me…