I racconti di mio figlio

Anonimo

10-02-2010

Dopo molti anni di carcere finalmente sono arrivato a “fine corsa”. Durante questa mia detenzione sono stato tra quelli fortunati per avere avuto la possibilità di fruire di varie misure alternative al carcere.

Ho 54 anni e mi trovo in carcere dal 1983. Ho usufruito dei primi permessi verso la fine degli anni ’80 e poi, nel 1992, della semilibertà. Sono stato chiuso e condannato per ulteriori reati in varie occasioni e poi riammesso ancora ai benefici. Circa due mesi fa ho iniziato a frequentare il Gruppo della Trasgressione.

Al primo incontro il coordinatore del gruppo, il Dott. Aparo, mi domandò quali reazioni sollecitasse nei miei pensieri il titolo del convegno: “La nicchia, la crosta e il rosmarino”. Avendo interrotto da poco la professione di panificatore, il pensiero andò subito alla focaccia al rosmarino, con quella bella crosticina fragrante, cotta nella nicchia di un forno a legna e all’intenso aroma che il rosmarino emana durante la cottura.

Poi mi venne mostrata la locandina del convegno e vidi quell’immagine: un uomo che con le mani nude si apriva un varco nella roccia per uscire da una grotta da cui, prigioniero, si stava liberando. Sorrisi tra me e me, conscio di non aver capito nulla e, riflettendo velocemente, risposi che la nicchia rappresenta il luogo della segregazione, la crosta è ciò che la isola dal mondo esterno e il rosmarino è il profumo che possiede la magia della libertà.

Ascoltai le risposte degli altri. Ognuno esternava le proprie considerazioni: le emozioni, le analisi e la revisione dei propri trascorsi. Piano piano, compresi quanta utilità può avere il Gruppo nel recupero di sé. La mia partecipazione al gruppo può davvero essere un notevole supporto per riprendere quel cammino che avevo iniziato insieme a mio figlio nel 1999 allorché, dopo 7 anni di chiusura, con l’ammissione ai permessi premio, si riapriva la prospettiva di un mio reinserimento in famiglia e nella vita di mio figlio.

Mi ero ritrovato a fare i conti con la mia coscienza e con la mia responsabilità di padre di dovergli dare conto del motivo per cui lo avevo messo al mondo senza poi stargli vicino. Sua madre gli spiegava egregiamente ciò che era bene e ciò che era male… e suo padre era appunto un esempio del male.

Lui non voleva più sentire belle parole, voleva guardarmi negli occhi per capire se nelle mie parole c’era menzogna o sincerità. Non potevo più mentire né a lui né a me stesso, l’avevo già fatto nel 1992, quando mi venne concessa la semilibertà e in soli 4 mesi mi ritrovai ancora nei guai, peggiorando la mia posizione giuridica e quella familiare.

Che gioia aveva provato nel breve periodo in cui aveva avuto accanto suo padre! Voleva che fossi io ad accompagnarlo e a riprenderlo a scuola. Ai suoi compagni diceva: “questo è il mio papà!”

Aggiungo io: quel fantasma che tutti sapevano esistere ma nessuno aveva mai visto, quella figura che lo portò a nascondersi in bagno, quando nei primi anni di scuola elementare, un lunedì mattina, la maestra gli chiese come mai, nei racconti su come avesse trascorso il week end, lui non citasse mai il papà. Aveva 7 anni.