La finestra |
Antonio Catena | 27-11-2009 |
Ero ancora un bambino quando assorbivo il malessere del mondo in cui vivevo. A poco a poco divenne mio quando fui indotto a pensare d’esserne io la causa; il dolore si trasformò in frustrazione e poi in rabbia. Manifestavo quello che mi affliggeva con comportamenti ribelli e talvolta aggressivi, ma questi venivano interpretati come quelli di un bambino solo un po’ vivace. Di conseguenza, al problema che mi portavo dentro non venne mai data l’attenzione che meritava; le risposte che ebbi ai miei atti di ribellione furono soltanto punizioni fisiche e psicologiche, che non fecero altro che nutrire la mia rabbia e aumentare i miei comportamenti instabili.
Non so come e quando mi convinsi che la mia ribellione e la mia rabbia fossero parte naturale di me. Ricordo solo che iniziai a racchiudere delusioni, frustrazioni e sofferenze in una nicchia per evitare che questo genere di emozioni potesse uscirne. Nella stanza buia vi era solo una finestra, per permettere ad altri dolori di entrare e di accumularsi su quelli precedenti.
Man mano che crescevo, il mio modo d’essere mutava, la mia aggressività si trasformò in violenza fisica e psicologica nei confronti di altri, il mio carattere ribelle divenne antisociale, ogni regola era per me un invito a violarla, trascorrevo le mie giornate con altri che avevano questi atteggiamenti, oggi definiti da bullo. Intuivo che i miei comportamenti mi avrebbero portato ad autodistruggermi, a togliermi il futuro, ma a me questo non importava; vivevo ogni giorno come se fosse l’unico, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni e mi appagava l’essere riconosciuto e valorizzato dai miei compagni per quella facciata che mostravo.
Durante la mia crescita alla nicchia si aggiunse una sorta di crosta che mi rendeva insofferente verso ogni tipo di emozione positiva e amorevole. Per quello che ritenevo di avere scelto di essere, non c’era spazio per pensieri che potessero scuotere la mia coscienza e indebolirmi.
Inevitabilmente sono arrivati i giorni più bui della mia vita ed è lì, nella più piena confusione e perdizione, che ho incontrato delle persone che si riunivano e si confrontavano su vari temi. Alcuni di loro erano come me, altri diversi, ma nonostante le differenze, il confronto si rivelava costruttivo.
Mettendomi in gioco con queste persone, ho iniziato una riflessione che mi ha riportato in quella nicchia buia, colma del caos e delle sofferenze da me provate e causate. Mi sono ritrovato in mezzo alla stanza con una sedia per sedermi e un archivio per farvi ordine. Da lì ho iniziato a lavorarci con molta fatica e con la consapevolezza che solo mettendo in ordine la mia nicchia avrei trovato me stesso.
In alcuni momenti ho avuto la sensazione di cominciare a capirmi. In quello sfracello di caos e dolore, ho sentito a tratti un odore così forte che non potevo negarlo, era il rosmarino. Entrava dalla mia finestra portando il richiamo di una vita avuta e mai vissuta. Non mi era mai successo in libertà di fare attenzione alle sensazioni ed emozioni datemi dalla pioggia di fine settembre; mai ho apprezzato questo, mai come quella sera di fine settembre dalla finestra della mia cella, da dove non potevo toccarla con mano, ma ne sentii la vita.