Quando ero superiore |
Livia Nascimben | 08-06-2004 |
Mentre Eric leggeva il suo scritto, le sue parole progressivamente mi portavano indietro negli anni, in un tempo in cui avevo iniziato a costruire, senza rendermene conto, quelle che sarebbero diventate le mura della mia prigione personale. Gli attimi di silenzio alla fine della lettura si sono riempiti di ricordi, di sensazioni, di speranze, di attese deluse, di fantasmi mai del tutto congedati.
Da dove arriva il mio nemico, chi è veramente, dove è nato e perché si presenta davanti a me?
Ero alle medie quando ho cominciato a sentirmi superiore agli altri; vedevo i miei compagni infantili, superficiali e me stessa più adulta e responsabile: studio, sport, una sana alimentazione; obiettivo programmato: crescere bene, forte e vigorosa.
Ho sentito spesso gli altri diversi, peggiori, ostili, da combattere non rendendomi conto che il nemico più insidioso che ho avuto di fronte ero proprio io; a quei tempi non potevo comprendere che spesso la lotta contro gli altri è in realtà una lotta verso se stessi, verso quelle parti che neghiamo di avere.
Il mio nemico e la mia rabbia mi hanno fatto, altresì, sopravvivere; hanno impegnato la mia mente cercando di tenerla lontana dalla sofferenza e il disagio di non avere vicino nemmeno un amico.
Sentirmi superiore agli altri mi ha permesso di salvaguardare un equilibrio mentale, di dare un senso al mio percepirmi diversa: meglio sentire gli altri infantili che se stessi inadeguati! Costa troppo aver paura del mondo in un’epoca in cui ci si affaccia al mondo. Mi costava constatare la mia incapacità di raggiungere i miei compagni, impossibilitata ad avere accesso al loro linguaggio, al loro modo di divertirsi, al movimento, al gioco, al riso, alla vita.
Il bisogno di trovare fuori di sé un nemico ha, per un certo periodo, una funzione vitale; nel corso degli anni però il peso di questa separazione si fa sentire: continuando a tenere il male fuori di sé e individuando dei nemici all’esterno, si perdono di vista le proprie mete e il piacere di costruire con gli altri.
Ora, insieme ad altri che, pur partendo da storie differenti, hanno sentito la necessità di dividere dentro di sé in modo netto il bene e il male e hanno pagato la mancanza di comunicazione fra spinte diverse, coltivo il coraggio e l’ambizione di riuscire a scoprirci dalle mille maschere con cui ogni giorno ci ripariamo, maschere con le quali ci difendiamo, nascondendoci prima ancora che agli altri a noi stessi.
Spesso le cose più semplici ci sfuggono, le abbiamo lì davanti agli occhi eppure non le vediamo, le osserviamo senza guardarle veramente… è l’inganno della superficialità, quella che non ci permette di cogliere le cose migliori; solo osando un po’, rifiutando le apparenze e le banalità ci si può rendere conto di cosa veramente è per noi “importante”, significativo.
(In corsivo le parti di Eric Bozzato)