Frammenti di strada |
Eric Bozzato e Livia Nascimben | 09-10-2004 |
Era uno di quei momenti in cui non distinguevo nemmeno se i miei sforzi andassero in direzione della vita o della morte; non mi era chiaro se cercavo di provare forti emozioni o di annullarle il più possibile. Ero così sconfortato e deluso da rimanere passivo di fronte a qualsiasi stimolo. Aspettavo qualcosa che mi svegliasse dalla mia condizione stagnante, un cenno fra le espressioni di persone con cui di solito non riuscivo a parlare, un segnale per riprendere il cammino.
La mia curiosità era soprattutto verso quelle figure che qualche volta avevo incrociato di sfuggita, persone con cui avevo condiviso qualche frammento di vita di strada. C’è chi, più di altri, vive la strada: prostitute, barboni, alcolizzati, pazzi, tossici, sbandati, stranieri, artisti, giocolieri; chi per un istante e via, chi per una scelta di vita, chi per sfiga, chi per dolore, chi per soldi, chi per gioco, chi perché ha smesso di giocare, chi per sfidare chissà cosa, chi perché ancora deve scegliere, chi perché ha già fatto la sua scelta e ha perso. Da loro ho ascoltato tantissime storie e in ognuna un tesoro: qualcuno l’ho letto, qualcuno l’ho sprecato, qualcuno l’ho messo nelle mani di altri perché non venga dimenticato.
Siamo alle porte dell’autunno, le giornate si sono accorciate, il sole comincia ad essere meno caldo, oggi è nuvolo ma è piacevole stare all’aria. E’ domenica, cammino tra le vie strette ed affollate di Bergamo alta, arrivo in piazza. In un angolo si è formato un gruppetto di persone, sono curiosa, m’intrufolo e guardo cosa c’è: è un giocoliere, si chiama Raul, sta preparando la scena per il suo spettacolo. Siamo in strada, non c’è palco né sipario, l’artista non ha modo di allestire il suo spazio senza essere visto, lo seguiamo in tutte le sue mosse, muove con cura cerchi, clave, palline, sedie e tutto quanto gli serve per iniziare.
Mi guardo attorno, in prima fila ci sono i bambini, quelli più piccoli sono seduti per terra, i più grandi stanno in piedi, alcuni hanno l’aria strafottente di quelli che dicono “vediamo se ora riesco a farti andare qualcosa storto”, altri sono in trepidazione e aspettano solo l’inizio dei giochi. Alle loro spalle, genitori, nonni, coppie, chi in cravatta, chi in jeans, giovani, adulti, anziani. Tra la folla, che ormai è numerosa, una figura attira la mia attenzione, è un ragazzo, probabilmente ha la mia età, forse ha fame, i suoi occhi sembrano avere qualcosa da dire. Forse anche lui è un artista ed entrerà in scena quando tutto sarà pronto.
E’ tutto pronto, parte la musica, Raul entra in scena come se noi non avessimo visto nessun suo preparativo, e il divertimento ha inizio. Si fa applaudire, forte, ancora più forte. Cerca la complicità del suo pubblico, ci guarda, scherza con un signore rotondo dalla faccia simpatica, ci fa fare le prove per gli applausi, per le urla d’incoraggiamento. Tutti sono attenti. Qualcuno però sembra essere pensieroso, lontano, è lui, quel ragazzo dall’aria malinconica che ho visto prima.
Raul comincia il suo spettacolo lanciando in aria tre cerchi, poi cinque, alla fine ne prende sette. Gliene cadono due, qualcuno fischia, lui scherza, sfida sulla scena chi lo sfotte per far meglio di lui, sorride, si fa applaudire, riparte, il numero gli riesce e l’applauso questa volta nasce spontaneo. Che divertimento vedere il giocoliere in azione, il suo spettacolo sta animando la piazza, è abile nel farci sentire protagonisti con i suoi continui inviti a partecipare, non mi aspettavo di sentirmi così coinvolta, all’improvviso, per strada.
E’ il momento della valletta, occorre sceglierne una! Raul ha bisogno di una mano sulla scena per il prossimo numero con palline e clave; scruta tutte le donne poi ne sceglie una: sembra abbia usato la sua sensibilità per trovare la ragazza più timida della piazza! Invita lei ad atteggiarsi da vamp, noi del pubblico ad applaudire. Addestra la ragazza a lanciargli le clave, lei è maldestra, si vede che si vergogna da morire, ma quelle sue emozioni sono parte dello spettacolo, capaci di coinvolgere chi si vede nei suoi panni e sa che proverebbe il suo stesso imbarazzo in quella situazione.
Siamo alla fine, il pezzo più pericoloso ed emozionante: un numero con le torce infuocate. Sono tre, Raul le prende, le accende, comincia a farle roteare come fossero semplici clave, è sicuro di quel che fa, sembra non curarsi della possibilità di ferirsi, lancia le torce sempre più in alto, nell’aria il fuoco disegna figure irregolari, l’effetto è ipnotizzante. Tutti applaudono, gridano, fremono, ormai siamo complici divertiti del suo spettacolo. Ma… non c’è più, dov’è andato quel ragazzo? Non entra in scena, lui? Dov’è? Sembrava voler dire la sua.
Lo spettacolo è finito. Molti spettatori lasciano nel cappello di Raul qualche moneta, velocemente le persone si disperdono nella piazza e tra le vie. Tra la gente cerco quel ragazzo, non lo trovo, chissà dov’è finito; nel silenzio aveva attirato la mia attenzione, la sua aria era familiare. Torno a casa, me ne vado con il ricordo di un pomeriggio coinvolgente e, impressi negli occhi, lo sguardo di un ragazzo che sembrava volere comunicare qualcosa che non è riuscito a dire e l’espressione soddisfatta di un uomo che ha fatto divertire e sentire protagonisti un gruppo di persone.
Nella mente una frase di Italo Calvino da Le città invisibili: “Due modi ci sono per non soffrire nell’inferno quotidiano. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”