Maelstrom |
Antonella Cuppari | 17-04-2004 |
Walter legge uno scritto che parla di obiettivi, tempo, scelte, progetti, presente e futuro. Parla della differenza tra il “volere tutto e subito”, la sensazione che si riassume nella formula “adesso o mai più”, e la capacità di compiere delle scelte in relazione alle proprie aspirazioni.
Che differenza c’è?
“Tutto e subito” sono le parole con cui spesso gli adulti rispondono a un desiderio che viene giudicato infantile, a una richiesta fatta da un bambino viziato o da un adolescente che pretende il mondo in mano senza cercarlo.
“Adesso o mai più” richiama la formula precedente, ma pone l’attenzione su una preoccupazione, quella di non esserci più, domani. L’adesso costituisce l’unica chance per giocarsi tutto, quasi che la vita e il mondo intero rischiassero di esaurirsi nell’esiguo perimetro del presente. “Adesso o mai più” è la richiesta disperata di chi sente di non avere un futuro.
La terza opzione è quella che implica degli obiettivi, delle valutazioni, delle scelte, del lavoro e dei sacrifici per raggiungerli. Chi ci riesce vive la sensazione di avere un futuro dentro di sé.
La disperazione dell’ “adesso o mai più” mi risuona nella testa, come un urlo disperato che smarrisce i confini dello spazio e del tempo, in un vortice che ha come centro l’adesso, il vuoto, il bisogno di colmarlo.
“Potevo spendere anche due milioni al giorno. Questo era un tutto e subito che mi serviva per colmare quello che sentivo”. Mentre Eric lo diceva, Livia piangeva.
Il tossicodipendente è preoccupato dalla necessità di procurarsi la sostanza entro due ore perché altrimenti sta male. Il detenuto in carcere fa delle cose, ma non riesce a collocarle in una dimensione temporale che gli permetta di viverle come tappe verso il raggiungimento di un traguardo. Ci sono persone che mangiano e poi vomitano, e poi si abbuffano di nuovo, per ributtare nuovamente fuori tutto; altre vivono in preda alle loro ossessioni, ai loro rituali irrinunciabili: lavarsi le mani dieci volte al giorno, controllare ripetutamente di aver chiuso bene la porta di casa prima di andare a dormire; altre ancora controllano tutto, se stesse, quello che mangiano, quello che fanno, come si muovono, le loro emozioni e le loro relazioni.
Il presente, in tutti questi casi, diventa un susseguirsi di azioni automatiche, senza meta, che si esauriscono nel momento stesso in cui vengono compiute. Atti che non hanno occhi, sguardi senza futuro, perché il futuro è troppo distante, irraggiungibile con le proprie gambe.
C’è un vuoto ancora più grande che rende ogni azione circolare, non protesa verso un obiettivo, incatenata ad una mancanza che deve essere colmata, un vuoto che non puoi guardare, ma che prende non solo i detenuti, i tossicodipendenti o gli ossessivi. E’ il vortice di un buco nero dove ruotano e si ammassano le parole non dette, le emozioni trattenute, i sensi di colpa, il senso di abbandono, la rabbia, il rancore, dove vengono risucchiate le coordinate di ciò che si è e si vorrebbe essere, un vortice vorace che torce ogni sguardo verso il suo centro.
Gabriele ieri ha detto che il “tutto e subito”, l’”adesso o mai più” hanno a che vedere con la ricerca della propria identità, un’identità perduta o nascosta. E allora mi chiedo come mettersi sulle sue tracce.
Dove si trova l’identità che cerchiamo? In che direzione va l’Io che sono? Si avvicina, si allontana o viaggia parallelamente a quello che vorrei essere? Ho fiducia che quello che sono adesso possa avvicinarsi a quello che vorrei essere domani? E quanto conta questo nel rapporto col vortice che ci prende?