I sogni con Enry e la scelta dell'asino |
Eric Bozzato | 29-06-2004 |
Iniziavo a crescere, mi affacciavo al mondo con sicurezza e spavalderia, ma non ascoltavo quasi per niente gli altri, pensavo di essere abbastanza furbo e coraggioso da potere rischiare senza rischio di pagare. Me l’ero sempre cavata da solo e pensavo di poter continuare a farlo per tutta la vita, senza dovermi mai abbassare a chiedere; vivevo in un mondo solo mio, sognavo una vita da protagonista, una donna dolce e speciale, una favola imprevista con tanto di saggi maghi e, naturalmente, un emozionante lieto fine.
Preso dalle vicende di quartiere, impegnato a crearmi una maschera da duro sulla strada, non mi interessavo assolutamente di fatti di attualità né tanto meno di politica… la politica e le solite chiacchiere erano per me solo una gran rottura di palle; con aria strafottente guardavo queste persone e pensavo che erano solo dei falliti, dei poveracci. Pensavo che tutti facevano tanto i filosofi, i portatori di sapienza e di ragione nel mondo, non perché gli interessasse veramente, bensì perché erano tristemente limitati nella conoscenza del vero piacere. Essendo frustrati e falliti in altri campi, sceglievano quello della discussione politica come unica ed ultima spiaggia per apparire un po’ più interessanti. Guardavo tutte queste persone che si sforzavano di apparire equilibrate e nel frattempo giuravo a me stesso che mai e poi mai sarei finito così!
In compagnia, ai giardinetti pubblici, vedevo tanti ragazzi e ragazze che sembravano pensarla come me; nelle parole e negli atteggiamenti apparivano spavaldi, ribelli, incoscienti ma fieri. Si guardava la normalità con occhi diffidenti, si osservava la massa e la si additava come scontata, noiosa, un branco di pecore tristi e sfigate; ogni pretesto era buono per dimostrare la nostra diversità, venivano colte al volo le occasioni di gridare in faccia al mondo la propria rabbia, i propri “VAFFANCULO”.
Mi accorsi ben presto però, in questura, in strada, negli uffici dei vari servizi sociali, che gli unici disposti e comunque obbligati a pagare sulla nostra pelle quei gesti di disagio eravamo solo io ed Ernesto. Gli altri compagni della banda, affascinati dalla figura del ribelle, del bulletto di quartiere, una volta resisi conto dello spiacevole prezzo da pagare, tornavano pentiti dai genitori e, dopo qualche schiaffo ed altrettante ramanzine di mamma e papà, il giorno dopo, in un misto di vergogna e superiorità, quasi stentavano a salutarti.
Alla fine, gli unici a rimanere ribelli erano quelli che, tutto sommato, non avevano poi grandi alternative ad essere altro. Gli altri, giustamente, assaporata l’ebbrezza del brivido, preferivano la comodità e la sicurezza offerta dalla famiglia e dalla massa comune.
Di lì a poco, nel mio mondo confuso, mi ritrovai circondato da coetanei, amici e non, che si apprestavano a fare grandi e importanti scelte che avrebbero dato un’impronta già abbastanza delineata del futuro di ognuno. L’incombenza di una scelta anche per me ed Erny era sempre più vicina…
Avvolti da mille stimoli e grandi figure sicure da prendere come esempio, l’unica scelta chiara che ci sentimmo in grado di prendere fu quella di non scegliere niente… già, scegliemmo entrambi di non scegliere. Pur non comunicandocelo mai con le parole, ma guardandoci di sfuggita negli occhi fu subito chiaro a tutti e due.
Ricordo benissimo che col passare degli anni eravamo molto diffidenti, non credevamo nella politica, non credevamo nelle regole di un sistema che ovviamente ed egoisticamente ci andava decisamente stretto. Non credevamo nell’insegnamento degli adulti, né che valesse la pena di avere pazienza; infine non conoscevamo e quindi non credevamo nemmeno nell’utilità dei sacrifici da fare per crescere.
Contrariamente, credevamo con gli occhi sognatori di due ragazzini di quartiere nei pugni di rabbia di Mike Tyson, credevamo nelle prodezze balistiche di un certo Signor Diego Armando Maradona, credevamo nei film di De Niro e Al Pacino e nelle curve di Filomena, la più bella rosa che sia mai sbocciata dal cemento delle case popolari dove vivevamo. Infine, ma non meno importante, credevamo nei sogni, nei nostri pazzi sogni e nella botta di culo che all’improvviso dall’alto arriva e ti cambia la vita. Forse ci speravamo tanto perché non avevamo né l’umiltà né gli strumenti per costruircela noi la nostra fortuna.
Oggi fra sogni e delusioni, fra sorrisi e lacrime mai lasciate libere di uscire, ho 25 anni e gli eventi mi obbligano in coscienza a tirare le somme: 2 anni e mezzo in un centro minorile, circa 5 di carcere adulto, un’adolescenza regalata alla strada ed all’educazione imposta delle istituzioni. Una lotta continua con me stesso per riuscire a guardare in faccia il mio più ostinato nemico: me stesso…
Ho la fortuna, dopo tanti sbagli, di aver ancora davanti la possibilità di scegliere: la vita col suo misterioso e complicato cammino mi ha dato nuovamente l’opportunità di trasformare il mio orgoglio, la mia incoscienza, le mie esperienze buie in materiale per crescere. Ad altri purtroppo, come anche ad Erny, non è stata concessa pari opportunità.
Avevo 20 anni e mi apprestavo a scontarne 4 in carcere quando, sceso dal blindato in un’aula di tribunale, una toga nera avvisò me e la corte dei fatti. Il processo andava rinviato in quanto il coimputato del Signor Bozzato, tale P. Ernesto, era scappato, scortato da due angeli era tornato a casa. Si è arreso alla droga, alla vita a soli 20 anni, in una cantina delle case popolari dove viveva, stroncato da un’overdose e tanta solitudine.
Oggi, come allora e forse ancor di più, sento il dovere di fare una scelta anche per chi, al contrario di me, non ha avuto il tempo e la fortuna per poterla fare. Oggi come allora tanti ragazzi come me ed Erny stanno rischiando di non scegliere ed è soprattutto a loro che vorrei offrire la mia esperienza; è soprattutto a loro che vorrei riuscire a dare qualcosa di me, della mia storia.
Solo che purtroppo non so ancora in che modo riuscire a farlo e soprattutto, nonostante i buoni propositi e le belle parole, non so se realmente ce la farò a fare tesoro dei miei sbagli!
Non mi sento purtroppo un guarito né uno che di colpo è diventato un santo o un esempio, anzi… semplicemente provo il desiderio di dare qualcosa di me, della mia vita… e forse stupidamente… non so… credo che in qualche modo tutto questo mi aiuterebbe a tener fede alla mia nuova scelta.