Righe e righe… |
Mohamed Lamaani | 22-09-2009 |
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Prima di tutto un grande saluto al Gruppo della Trasgressione; un saluto molto affettuoso, che viene dal cuore di un detenuto, che prima aveva un progetto serio, molto umano e concreto. Io penso e scommetto che ognuno di noi aveva un progetto, ma quel progetto, più che morale e spirituale, era materiale. Per me, un progetto per avere un significato e un effetto positivo sulla persona che porta il suo nome e per le persone intorno, deve essere costruito su delle basi morali, per esempio: solidarietà, pietà, aiuto reciproco, rispetto, affetto, fiducia e poi viene la materia, che insieme a questi elementi ti porta alla felicità, che è l’obiettivo di ogni essere umano. Vorrei parlare, in qualche riga, del mio cammino in questa vita, che a me e alla mia famiglia ha tolto, più che aver dato. E’ stata una vita molto dura, piena di dolore e sofferenze, ma io la vedo sempre bella, così ho resistito, ho sfidato il destino perché ho sempre pensato che bisogna sorridere alla vita affinché lei ti sorrida. Sono entrato la prima volta in carcere nel 2000, per fare un colloquio con mio fratello e con mio zio che, per colpa delle “righe” e dell’alcol, hanno rovinato la loro vita. Io speravo per loro che fosse l’ultima volta in carcere, ma purtroppo era solo l’inizio di un incubo per tutta la mia famiglia. Nel 2004 ho portato mia sorella in Italia. Il peso della vita, le responsabilità stavano aumentando, giorno dopo giorno, mese dopo mese. I miei genitori erano malati, le mie sorelle disoccupate, mio fratello e mio zio entravano e uscivano dal carcere, un altro fratello era violento e drogato di eroina e alcol. Io, con l’aiuto della fede riuscivo a sentirmi più forte di prima, ho avuto sempre il coraggio e la pazienza per affrontare gli ostacoli e quanto il destino mi riservava. Sapete quando mi sentivo felice? Quando mandavo quei pochi soldi che risparmiavo dalla paga ai miei genitori, alle mie sorelle perché continuassero gli studi, quando mi chiamava un ex carcerato che era amico di mio fratello o di mio zio e riuscivo ad aiutarlo per affrontare il suo nuovo percorso da libero, quando aiutavo un anziano a portare la spesa a casa sua, quando lasciavo nel treno il mio posto a una donna incinta, allora ero felice. Per me sentirmi una persona per bene significa stare lontano dalle righe e dall’alcol, dalla delinquenza, per non fare male a me stesso e a nessun altro e per non andare contro ai miei principi. Alla fine del 2006 mi sono trasferito a Milano, per stare vicino a mio zio, che era stato arrestato di nuovo con l’accusa di spaccio di droga. In Trentino, dove avevo vissuto per quasi otto anni, la vita era tranquilla; invece a Milano tutto era diverso, sembrava fosse una foresta dove valeva la regola del più forte, il più furbo sopravvive. Ho conosciuto il tunnel delle righe, dell’alcol, non ho trovato più uscite di salvezza, è stato l’inizio della fine. A gennaio di quest’anno sono entrato in questo istituto, non come visitatore, purtroppo come detenuto, con il reato di spaccio di droga. E’ stato un colpo duro per me e la mia famiglia, i primi mesi sono stati difficili, ma piano piano mi sto integrando in questa nuova e strana vita di carcere. Cosa vi devo dire? Che non si deve mollare, che si deve sempre lottare fino in fondo per sconfiggere il male e la sofferenza che proviamo anche qui, dietro alle sbarre. La libertà è una cosa santa e sacra, appena la conquistiamo bisogna proteggerla e difenderla fino all’ultimo respiro.
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