L'istinto del falcone |
Nicola Tassone | 26-02-2010 |
Quando ero ragazzo, allevare rapaci era il mio passatempo preferito. Avevo imparato i comportamenti e le abitudini della famiglia dei falconi e mi sentivo quasi un esperto della materia.
Il protagonista di questa storia è una poiana che, furtivamente, avevo preso dal nido in cui era nata circa 15 giorni prima. Era un batuffolo bianco, con qualche sfumatura grigia e il becco a uncino.
Cresceva a vista d’occhio e quando il piumaggio sostituì il soffice manto bianco cominciai a farle esplorare il mondo esterno. Passava il tempo e notavo con soddisfazione che l’addestramento cominciava a dare i suoi frutti. Era diffidente verso gli estranei, ma al mio fischio volava sulla mia mano. Ormai era quasi adulta e viveva libera nel giardino che divenne il territorio in cui si esercitava nel volo e nell'approccio con gli altri animali.
Un giorno le portai un serpente vivo, non ne aveva mai visto uno prima, ma qualcosa le suggeriva come reagire di fronte a quella cosa… era l’istinto di sopravvivenza, caratteristica naturale per ogni animale. Fu una scena crudele ma significativa e un’utile prova per la sua vita. Uccise il serpente come fosse stata esperta e se lo mangiò. Per la prima volta non mi fece avvicinare, con le grandi ali proteggeva quello che era rimasto del suo bottino, increstava il collo e lanciava il suo grido di vittoria. Con audacia e orgoglio aveva conquistato la sua preda.
Cominciai a capire che cercava quello che io non le avrei mai potuto dare, la sua vita. Stava cambiando e il richiamo della natura selvatica era sempre più forte. Le mie attenzioni e il mio affetto non le bastavano più.
Nei giorni successivi si avventurava sempre di più nelle campagne e ritornava da me la sera, per appollaiarsi nel suo rifugio; ancora si faceva accarezzare e si metteva sulla spalla in segno di devozione. Era fiera di sé, sembrava volesse raccontare delle sue esplorazioni in quel mondo da cui tanto era attratta. Intuivo che il giorno in cui sarebbe volata via era vicino e quel giorno arrivò.
Aspettava che io la guardassi, si alzò in volo, ad un'altezza degna della regina dei falchi, sfruttò le correnti ascensionali, volò sulle campagne compiendo ampi giri. Mi stava dimostrando che si sentiva pronta per l’addio alla cattività, era l’inizio del senso della sua vita. Sopravvivere e progredire in un mondo libero.
Un falco cresciuto in cattività, ma allevato in modo da non perdere l'istinto per sopravvivere in libertà, un giorno accetterà la separazione da chi lo ha allevato e saprà vivere libero, tornando alle leggi della natura. Un falco non potrà mai accettare un insegnamento che gli imponga di rinunciare per sempre a ciò per cui è nato; la costrizione il più delle volte risulterà fatale e si lascerà morire.
A un falco basta permettere di mantenere il contatto col suo istinto perché, finito il periodo di cattività, egli possa riprendere a vivere in armonia con la natura; a un uomo chiuso in cattività cosa occorre perché egli possa imparare a vivere in armonia con gli altri uomini? Basta che chi lo tiene chiuso per un certo tempo confidi nel suo istinto?