Lo scandalo del male


Sofia Lorefice

  24-02-2008
Il persecutore, Luigi

 

Quando agli scout si prende la Partenza viene data ai ragazzi che partono una forcella, che è quel pezzo del ramo in cui il legno si biforca. Al momento della consegna della forcella viene detto che in qualunque momento da lì in poi si è chiamati a scegliere tra fare il bene e fare il male, ma che, qualunque sia la decisione, un uomo e una donna della partenza sanno che ne sono responsabili davanti a se stessi, davanti a Dio, e davanti agli altri. Da cosa deriva questa responsabilità? E cosa significa?

Se il nostro agire fosse “contento”, ci chiederemmo forse che cosa sia la “libertà”?

Chi agisce bene e fa qualcosa che agli altri porta benessere non si domanda neanche se ha agito così per una scelta tutta libera o se condizionato dalla sua storia e dal bene ricevuto in passato; chi fa del bene vero si sente libero qualunque sia la radice della sua libertà.

Il problema della libertà si pone anzitutto perché ci imbattiamo sempre nello scandalo del nostro agire. Lo scandalo è che l’uomo volontariamente fa il male, così come volontariamente fa il bene. La domanda di libertà nasce da questo: dalla ‘evidenza’ che ‘facciamo male’, e il male prima o poi fa male a se stesso e a chi lo compie.

Da dove viene il male? Da dove viene questa impotenza a fare il bene? Perché non siamo liberi di compierlo? Perché comprendere cosa è bene non comporta anche il volerlo? Perché, come scrive San Paolo, “vedo il bene e lo approvo ma faccio continuamente il male”?

Qui nasce l’angoscia, quando la mia volontà segue ciò che so essere contrario al mio stesso bene. Vedo dunque che la mia volontà segue semplicemente ciò che sono. Vale a dire la miriade di eventi anche apparentemente insignificanti che formano o hanno formato la mia persona. Il mio volere è la somma delle forze che mi fanno fare ciò che faccio. Ma cosa le compone, quando si formano? E io quali margini ho per determinare la mia scelta?

Se sono stato tradito da qualcuno o qualcosa che ha scatenato in me una rabbia o un dolore profondo, pur sapendo benissimo cosa si deve e non si deve fare, posso comunque agire facendo male credendo d’essere ‘libero’ di farlo.

Se esiste una libertà, non può essere certo una libertà incondizionata e assoluta perché sempre nel bene e nel male siamo condizionati da qualcuno o da qualcosa. Eppure, se anche è vero che le persone non sono libere, in senso assoluto, di volere ciò che vogliono, è lecito affermare che la libertà non esiste affatto? Che è inconsistente la stessa domanda intorno alla libertà? No Vito, io non voglio e non posso crederlo, non mi sta bene.

Ma cosa sta dietro alla volontà? Quanto incidono sulla libertà tutte le forze di senso contrario (il caso, il destino, la propria storia, la famiglia, e le mille scelte che stanno dietro a ciascuno…) che spingono e tirano a compiere scelte e ad agire?

Il male non può alla fine che volere il male di sé, il malvagio si vuole male, il cattivo è già prigioniero, la parola antica captivi significa prigionieri, i cattivi sono dentro una logica che li porta a volersi annientare. Dentro la logica del male non c’è libertà, questo sì, in questo senso ha ragione Vito, secondo me. Qualunque sia il processo che abbia portato qualcuno dentro la logica del male, e lo ha reso dunque cattivo, ne ha fatto un prigioniero.

L’unica libertà possibile è dunque quella di trasgredire la logica del male opponendo un “no” che custodisca e salvi la libertà; perché l’unico senso di libertà che si riesce ad avere è quando si fa il bene, e chiunque lo abbia fatto anche per una sola volta nella sua vita non può negarlo.

Eppure il male seduce. Anche questo è un dato di fatto.

Si è detto molto della seduzione del male, come dicevano gli antichi il male non puzza di zolfo, altrimenti nessuno sarebbe così scemo da cascarci. Il male seduce. Perché pur sapendo lo si fa? Come fa a sedurre il male?

1) Mi viene in mente il Vangelo delle tentazioni di Cristo nel deserto. Il diavolo dice: Se sei il figlio di Dio trasforma queste pietre in pane… il pane di per sé è qualcosa di buono, che fa bene, il pane per chi ha fame è un bisogno legittimo, non c’è niente di male in sé, niente. In principio la tentazione tenta con qualcosa di apparentemente buono, o poco dannoso, quasi innocente (il frutto del bene e del male, spinelli, piccole dosi, qualche biscotto dopo cena…) perché se anche solo per un momento non pensassimo che il male in qualche modo ci possa fare del bene, se in qualche modo non c’illudessimo di ricavarci qualcosa che ci riscatti, non sceglieremmo il male, nessuno è così imbecille.

2) In secondo luogo, il male oltre a mostrarsi buono si mostra libero; nasconde la sua logica di schiavitù illudendo con la logica della libertà, anzi si propone come la trasgressione vera, non c’è infatti una legge del male da trasgredire semmai c’è una legge del bene. Mentre il bene si fonda su principi da seguire, il male si gioca tutto sulla logica della caduta, non ha leggi, quindi in apparenza è più libero. Lo spirito libero non professa ‘assurda fede nell’incondizionatezza della libertà’, egli è colui che obbedisce al proprio essere, colui che vuole essere ciò che è.  In tale coincidenza consiste appunto la sua libertà. Il male insomma capovolge la logica della bontà e della libertà che sono proprie del bene, e le usa per sedurre, in questo senso è diabolico.

3) Ed infine, ed è forse la prova più grave e subdola: il male fa perno sull’identità dell’uomo, mette in discussione chi è l’uomo, il diavolo dice “se sei il figlio di Dio…”. Il male mette in discussione chi si è, e perché si è quello che si è, e quindi si fa ciò che si fa: il male sfida, il male provoca, il male così seduce. Se sono stato tradito, e sono arrabbiato, la faccio pagare a qualcuno per dimostrare qualcosa, cosa? Ci si illude di fare il male per affermare se stessi. Hai voglia poi di dire che hai fatto quello che hai fatto perché eri arrabbiato, poi tutti i compromessi che fai con te stesso per non sentirti uno stupido ti fanno sentire cattivo.

La libertà si gioca nella logica del bene. Detta così sembra facile, ma è in realtà è una fatica essere nel bene, perché ogni volta devi scegliere tra bene e male. Il vangelo delle tentazioni termina così, dopo che Cristo per tre volte respinge il diavolo alla fine, avendo esaurito ogni genere di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per un certo tempo. “Per un certo tempo”, quindi non per sempre! La libertà consiste in questa meravigliosa precarietà continua tra bene e male: se scegliamo il bene siamo liberi e quindi dovremo scegliere ancora e poi ancora e poi ancora; se scegliamo il male invece, ed entriamo nella sua logica, qualunque cosa facciamo non c’è libertà.

C’è solo continuamente l’illusione e la seduzione della libertà diabolica, in questo senso sono d’accordo con Vito che non c’è libertà, si sta giocando con i lego della propria vita all’interno di una logica di male che non lascia scelta. Nel male non c’è più scelta tra bene e male, la libertà è finta, è un illusione.

Ma allora si è eternamente condannati? Ma allora, una volta che si è fatta la scelta del male, si è spacciati? Non c’è più scampo? No, non può essere così semplice neanche qui. Io credo che la risposta formulata nel modo più semplice da capire per chiunque, sia quella che si legge nel Vangelo e penso che questo possa valere anche per chi non è credente.

Gesù di Nazareth, per tutti coloro che lo leggano cercando di capire senza fare per forza lo sforzo di credere, è anzitutto un segno umano dell’antropologia della libertà. In Cristo c’è una fortissima consapevolezza della finitudine e della creaturalità. Cristo stravolge le logiche retributive di delitto e castigo, giustizia e premio. Nel Vangelo queste sono due ruote di purificazione inutili, basta guardare la gente di cui si circonda Gesù, si legga il passo del cieco nato per farsene un'idea.

Cristo individua nella sofferenza la catarsi e la purificazione, cioè il momento in cui chi si trova nella logica del male si rende conto che la sua costruzione di scelte sbagliate dentro alla logica del male non regge. Cristo mette davanti all’evidenza che per chi è nel male solo la sofferenza rompe il sonno della ragione. Si tratta questa di una saggezza antica; già Eschilo diceva che la saggezza non si raggiunge se non attraverso la sofferenza. Ma in più Cristo vive su di sé la sua Passione, e offre un paradigma di liberazione per qualsiasi uomo che soffra a causa del male e cerchi una via d’uscita: l’importanza e la centralità della Passione di Cristo è la manifestazione più umana della sua divinità.

Con Cristo, Dio vive la sofferenza e la considera parte sua, Dio salva in Cristo non in virtù della sua onnipotenza ma della sua impotenza. Cristo con la sua parola umana, prima ancora che divina, invita ad accostarci all’orizzonte della sofferenza –  che è inevitabile per chiunque si trovi nel male e ne voglia uscire –  con dignità. Perché questo dolore ha in sé componenti di liberazione che offrono la possibilità di riappropriarsi dei mattoncini della propria vita ed opporre alla logica prigioniera del male quei “no” che trasgrediscono la logica diabolica e permettono il salto verso la logica del bene che custodisce e salva la libertà.

In più, per chi crede al fondo della sofferenza, Dio offre la possibilità di affidarla a lui non necessariamente perché la guarisca ma perché la collochi. Questo però è un salto ulteriore cui non tutti sono chiamati, ma che resta comunque una possibilità.

 

Disamistade Dimensioni originali del disegno