La strada dei pony


Antonella Cuppari

  16-05-2004

In casa mia, fino a due anni fa, ho sempre avuto un cane. Con tutti quelli che ho avuto, ricordo un copione che ripetevo spesso. Sgridavo il mio cane per niente e gli urlavo “Va via, brutto. Non ti voglio più”. Lui mi guardava sorpreso e poi si allontanava con un’andatura afflitta, le orecchie basse e la coda tra le gambe. Passati pochi minuti lo richiamavo amichevolmente: “Vieni qui cucciolino, dai, scherzavo”. Senza fare troppe domande, lui tornava, e io lo investivo di coccole e carezze.

Un sadico esercizio di potere; traevo piacere nel vedermi capace di far intristire il mio cane per poi, in un secondo momento, tornare a farlo contento. Se lui non rispettava questo copione, io mi arrabbiavo e mi convincevo che fosse un cane ingrato e che non mi volesse bene.

Penso che nelle torture tutto quello che accade deve essere sotto il controllo e la volontà dell’esecutore. La tortura è una prigionia che nasconde e protegge il torturatore da un confronto schiacciante, quello con la realtà. Sapevo che il mio cane era l’unico attore adatto al mio copione sadico; sapevo che lui, molto probabilmente, avrebbe assecondato questi miei capricci. Esercitavo il mio potere su di lui quando sentivo che non avevo potere con gli altri, quando non mi sentivo amata, considerata. Era la mia rivincita, in quel modo mi sentivo rassicurata: “qualcuno mi ama, su qualcuno ho potere”.

Ancora oggi ricordo la sensazione di rivalsa che quella tortura infantile mi dava, perché nel presente ci sono dei momenti in cui, in maniera del tutto differente, metto in atto quel copione. A differenza di allora, però, di quel giochino macabro ciò che mi resta e prevale è un senso di profonda solitudine e amarezza.

L’illusione di poter controllare tutto e tutti, per avere potere, non mi appaga più, anzi mi rendo conto che è un peso di cui vorrei liberarmi perché ne sento la prigionia e l’inutilità. La tortura annulla la vita e il cambiamento; cancella tutto, perché bisogna proprio negare tutto per  alimentare l’illusione di essere onnipotenti.

La realtà non è controllabile in tutto e per tutto; questo apparente limite, però, è l’unica garanzia che permette alla realtà e a me stessa di cambiare ed evolvere. Se programmo una gita e organizzo ogni singolo istante della giornata, non do spazio alla vita di arricchirmi e stupirmi. Mi sto accorgendo che la vita è tanto più bella quanto più mi rendo permeabile a quello che mi può offrire.

Ho avuto momenti in cui la vita per me è stata così dura da giustificare una temporanea impermeabilità. Essere impermeabili troppo a lungo, però, annebbia la vista e intorpidisce i sensi; la realtà sfuma e l’unica percezione che resta è che tutto quello che ci circonda rimarrà sempre pericoloso come l’ultima volta che lo si è vissuto.

 

 

Ultimamente ci sono stati diversi episodi in cui ho sentito la vita scorrere nuovamente dentro di me, in cui ho sentito i polmoni gonfiarsi di una nuova aria. Giovedì io, Livia e Cosimo siamo andati a Corbetta a trovare Ivano; abbiamo sbagliato strada e ci siamo ritrovati davanti ad un grande prato con dei poni; lì, ho riso dell’allegria infantile di Cosimo e della curiosità inarrestabile di Livia. Respiravo, mi godevo il sole e la compagnia.

Quando nella vita si riesce a rivivere momenti di libertà, la libertà di stare con gli altri, io credo che la tortura e la forma di potere che offre, non appaghino più. Diventano una prigionia, una solitudine che desidero evitare.