Buoni e cattivi |
Dr. Walter La Gatta | Scheda dell'autore |
La maggior parte di noi è assolutamente certa di essere una “brava persona” e di comportarsi bene verso gli altri. In genere sono convinte di questo anche le persone che non hanno scrupoli morali e che si comportano in modo anti-sociale. Tutti si giustificano in qualche modo e comunque non si ritengono “quel genere di uomo/donna”. Eppure molte persone cambiano, nella loro vita, assumendo comportamenti assolutamente impensabili in precedenza. Quali sono le dinamiche psicologiche e sociali che trasformano una persona tendenzialmente “buona” in una persona crudele verso altri esseri umani? Ve ne sono diverse: l'incapacità di dire di no ad un soggetto autorevole, la “deindividuazione”, ovvero il sentirsi anonimi nelle situazioni di gruppo, l'addestramento. Il primo e più citato esperimento sul tema è quello condotto nel 1974 da Stanley Milgram, sulla influenzabilità dei soggetti in presenza di una fonte autorevole. Questo famoso esperimento consisteva nel chiedere a soggetti ignari, di somministrare ad altri soggetti (in realtà complici dello sperimentatore), delle scosse elettriche che andavano da 40 a 450 volts, ogni volta che questi ultimi commettevano un errore nella ripetizione di sillabe imparate a memoria. Lo scopo di questo esperimento, veniva detto ai partecipanti, era lo studio delle capacità di memoria da parte dei ricercatori della prestigiosa Università di Yale. Ai partecipanti veniva detto che queste scosse, sebbene dolorose, non avrebbero comunque provocato danni permanenti nelle persone alle prese con la memorizzazione di liste di sillabe. Due terzi dei soggetti partecipanti all’esperimento andarono fino in fondo con la somministrazione di scosse, malgrado le espressioni di dolore messe in scena dai collaboratori degli sperimentatori. Questa ricerca fu molto sconvolgente, perché dimostrava abbastanza chiaramente che, in presenza di una giustificazione accettabile e apparentemente razionale, come quella di partecipare ad uno studio sulla memoria, dei soggetti “normali” potevano trasformarsi in violenti molestatori di altri soggetti verso i quali non avevano alcuna ragione di aggressività. Che dire poi delle persone che diventano cattive solo per il particolare ruolo che sono chiamate a svolgere? Conosciuto come l’esperimento della prigione di Stanford (Zimbardo 1971), questo esperimento prevedeva che, per un periodo di due settimane, degli studenti “normali”, in buona salute fisica e mentale, senza essere mai stati coinvolti in storie di droga o di violenza, dovevano trasformarsi alcuni in guardie ed altri in prigionieri: i prigionieri vivevano reclusi in celle, mentre le guardie “lavoravano” per otto ore al giorno. Una volta indossata la propria uniforme, di prigioniero o guardia, ogni studente cominciò a comportarsi secondo il ruolo assegnatogli... Basti dire che l'esperimento dovette essere sospeso dopo soli sei giorni (anziché le due settimane programmate) a causa dei comportamenti violenti perpetrati dalle “guardie” sui “prigionieri”: l’aggressività e la violenza ebbero la meglio sui valori morali, delle persone che si professavano “pacifiste” divennero sadiche, infliggendo umiliazioni e sofferenza agli altri soggetti, che venivano percepiti con lo status umano di inferiorità, dovuto al loro essere “prigionieri”. Alcune “guardie” addirittura dichiararono di aver provato piacere nell”attuare questi comportamenti. Lo stesso Zimbardo ammise poi di essersi comportato, durante quell’esperimento, come un vero e proprio Direttore della prigione, dimenticando quasi il suo vero ruolo, come stordito da questo eccesso di potere che gli veniva attribuito. Nel 1988 Bandura studiò invece il “disimpegno morale” capace di portare le persone, anche le più attente ai valori morali, ai comportamenti violenti e distruttivi nei confronti di altri esseri umani o delle cose: si trattava di meccanismi cognitivi implicanti giustificazioni morali, uso di eufemismi per descrivere condotte violente altrimenti indescrivibili, tendenza a minimizzare, ignorare gli effetti e le conseguenze, deumanizzazione della vittima, alla quale veniva attribuita perfino la responsabilità di proporsi come vittima. Purtroppo non solo le ricerche psicologiche, ma anche i telegiornali ci parlano di persone 'normali' diventate carnefici, violentatori, kamikaze... Gli interventi di educazione e di socializzazione fra i giovani, come vediamo, possono essere davvero molto efficaci nell’indottrinare le loro menti inesperte ad odiare il nemico. Non è un mistero che, nell'ambiente militare, a fare certi lavori “sporchi” non sono i soggetti particolarmente sadici: essi infatti infatti non sono facilmente controllabili e poi, dal momento che provano piacere a fare del male, possono facilmente perdere di vista il vero obiettivo della missione, come ad esempio estorcere ai prigionieri dei segreti militari. I soggetti selezionati sono allora assolutamente “normali”, addestrati in modo da cambiare il loro modo di fare. Allo scopo giocano un ruolo fondamentale gli episodi di nonnismo, le relazioni cameratesche fra commilitoni, l’accettazione dell’ideologia proposta dai vertici militari della “sicurezza nazionale”. Efficace è anche il far sentire questi soggetti come delle persone “speciali”, superiori e migliori degli altri, che non svolgono missioni segrete e non perseguono obiettivi difficili. Riferimento bibliografico principale: Philip G. Zimbardo A Situationist Perspective on the Psychology of Evil: Understanding How Good People Are Transformed into Perpetrators in Arthur Miller (Ed.). The social psychology of good and evil: Understanding our capacity for kindness and cruelty. New York: Guilford. (Publication date: 2004).
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